Galeotto fu quel “Giuseppi”

L’esperienza di Governo di Giuseppe Conte, o meglio le esperienze, rimangono particolarmente iconiche.
La prima per aver portato al potere la creme de la creme del populismo italiano, ponendosi, nella veste di avvocato del popolo, alla guida dell’accordo Lega-5Stelle. La seconda per l’inedita coabitazione del PD, dei 5Stelle, di Matteo Renzi e della Sinistra italiana, ma soprattutto per la gestione della fase più dura ed inattesa della pandemia da Coronavirus, particolarmente segnata nella coscienza collettiva italiana ed accompagnata da una riedizione dei discorsi del caminetto rooseveltiani.
Elemento comune ad entrambe le esperienze di governo, alquanto divergenti, per non dire agli antipodi, è stato il rapporto d’oltreceano. Donald Trump non ha mai nascosto una particolare simpatia verso Giuseppe Conte, congratulandosi con “Giuseppi” anche nel frangente della nascita del governo col PD, che pur non era proprio nelle corde della dottrina trumpiana. Un rapporto che è costato caro all’ex presidente del Consiglio. Il giorno in cui Matteo Renzi aprì ufficialmente la crisi di governo menzionò, fra i punti di divergenza con Conte, un elemento che poteva passare in cavalleria rispetto alle questioni più legate al nostro Paese, un appunto che può esser sembrato più una stilettata che una questione centrale. Il senatore di Rignano accusava infatti Giuseppe Conte di non aver condannato abbastanza esplicitamente l’assalto dei sostenitori trumpiani al Congresso americano. Una questione che poteva sembrare un semplice puntello nel fiume di critiche all’esecutivo e alla persona del Presidente del Consiglio, ma che nascondeva una questione importante e aperta. Non sono in pochi a immaginare che dietro la rimozione di Giuseppe Conte possa celarsi anche un’influenza americana, considerando soprattutto i buonissimi rapporti di cui Renzi gode con la fazione obamiana, di cui il nuovo presidente Biden è parte. A questo rapporto con Trump si andava a sommare l’onta del memorandum con la Cina e il ricevimento in Pompa Magna di Xi Jinping ai tempi dell’esperienza giallo-verde.
Può essere troppo immaginare una leggera spinta, o quantomeno un beneplacito d’oltreoceano nella caduta dell’avvocato del popolo?
La situazione attuale degli USA può fornirci alcuni spunti importanti. Poniamo un elemento centrale innanzitutto: l’assalto a Capital Hill ha segnato per gli Stati Uniti una ferita gravissima. Non tanto per l’evento in sé, caratterizzato da una sottile linea fra estrema gravità e paradossale comicità soprattutto per l’estetica di alcuni personaggi coinvolti, come sciamani, goffi neonazisti, guerriglieri social e nuovi secessionisti. La gravità della questione ruota attorno al vuoto di potere interno alla nazione egemone mondiale, in mondovisione, dinanzi ai suoi subordinati, alleati e soprattutto nemici. Un evento da cui gli apparati statunitensi (i vertici militari, l’alta amministrazione) hanno preso la decisione di influire in prima persona nella direzione del Paese. Se durante l’amministrazione Trump gli apparati tanto odiati dal Presidente si sono limitati a non occuparsi della situazione interna, tutelando l’interesse imperiale dell’America nel Mondo, sostanzialmente infischiandosene delle direttive trumpiane in politica estera, l’assedio del Congresso ha maturato la convinzione dello Stato profondo americano a dover prendere le redini anche internamente.
A riprova di quest’operazione, l’amministrazione Biden vede una partecipazione estrema nei ruoli di vertice di personalità provenienti dalle alte sfere militari e amministrative statunitensi. Una presa di mano particolarmente influente, considerando la veneranda età di Joe Biden e la figura della sua vicepresidente Kamala Harris, che seppur acclamata, soprattutto all’estero, sostanzialmente solo un anno prima si era dovuta ritirare per mancanza di consenso dalle primarie dei Democratici. La nuova dottrina è quella di salvare l’America per salvare il suo Impero, per farlo gli USA hanno bisogno di ridisegnare un nuovo “arco costituzionale” con il quale delegittimare completamente la Trump Nation. Tale atteggiamento è comprensibile sia esportato anche nella propria sfera d’influenza, di cui l’Italia è parte. In un momento nel quale l’Impero americano fa i conti al suo interno, non può permettersi neanche il minimo disallineamento da parte dei suoi satelliti o, in forma edulcorata, alleati. Seguendo queste riflessioni risulta chiaro come la figura di Giuseppe Conte, seppur inoffensiva considerando i rapporti di forza, rappresentasse sia un limite al tentativo di Damnatio memoriae di Donald Trump, sia un esempio di politica estera troppo vivace, e forse ingenua, nei suoi rapporti passati con la repubblica Popolare Cinese. Pensare che l’amministrazione Biden abbia avuto un ruolo primario nel siluramento dell’avvocato del popolo è probabilmente troppo, considerando anche l’infimo interesse che gli USA possono nutrire verso l’Italia. Ma immaginare un forte incoraggiamento, nonché una vera e propria benedizione all’operazione di Matteo Renzi, che aspira a posizioni internazionali che solo gli Stati Uniti possono garantire (vedasi Segreteria della Nato o qualsivoglia ruolo sovra-governativo), forse non è troppo lontano dalla realtà.

Vittoria Maiolo 4C cl