Immigrati italiani all’estero – Intervista

Ho intervistato mia madre per parlare dell’immigrazione italiana all’estero negli anni 50/60

“So che i suoi genitori sono immigrati in Belgio negli anni 50, può raccontarmi come e perché?”

“Mio padre e nato nel 1931 in un paesino della Campania in provincia di Benevento. Erano 10 figli e nel dopoguerra c’era poco da mangiare. I suoi tre fratelli maggiori sono partiti in Argentina nel 1950. E lui nel 1958 a 27 anni decise di raggiungere un amico in Belgio. Partí con pochi spiccioli in tasca e un visto da turista valido per 15 giorni. Chiaramente dopo i 15 giorni inizió il periodo da clandestino. Viveva con altri italiani in baracche di lamiera nelle campagne il rubavano le uova e le verdure nei campi per vivere. ha poi iniziato come bracciante in una fattoria, Poi come operaio in una cava di pietre.”

“E dunque come ha fatto a rimanere in Belgio?”

“Nel 1960, ebbe un’ influenza fortissima con febbre altissima e lo hanno dovuto portare da un medico, ricordo che a quei tempi era ancora un clandestino, il medico lo lo curò. Ma chiamò anche un prete che si occupava dei migranti. Questo si occupa di regolamentare la situazione di mio padre. Così appunto trovare un lavoro regolare e cercare una casa. Mio padre ha iniziato così nel 1961 a lavorare all’ altoforno di una fabbrica che produceva stufe in ghisa, questo fino alla pensione.”

“Come erano visti gli italiani immigrati dai Belgi?”

“Allora, gli italiani erano arrivati in Belgio già verso il 1948 per un trattato economico e dunque erano indispensabili all’economia anche se le battute non mancavano mai. Erano soprannominati “spaghetti” o “maccheroni”. E avevano la reputazione di essere fannulloni, non era sempre semplice da vivere per loro. Mi ricordo ancora il famoso cartello di quando ero piccola “vietato ai cani e agli italiani” Fuori da alcuni negozi. E chiaro che dal momento in cui in Belgio sono arrivati anche i turchi, i marocchini e i tunisini, gli italiani erano quelli più apprezzati, più integrati  e più accettati.“

“Vista la situazione, come si era organizzata la vita degli italiani tra di loro?”

“Eravamo tra due culture, due mondi. Dal lunedì al venerdì era alla belga: lavoro, scuola. Il fine settimana invece era all’italiana: lì dove miei vivevano, tutti gli italiani venivano dallo stesso paesino dell’Italia. Il fine settimana si rievocavano gli usi e le tradizioni del paese. Ci si ritrovava sempre tra pasta fatta a mano, bottiglie di vino, partite a briscola e canti popolari. Le feste come Natale, Pasqua, comunioni, matrimoni, erano vissute tra di noi, erano famiglie molto allargate”

“E lei come è arrivata in Italia?”

“Io ho sempre sentito molto forte questa dualità tra culture belga e cultura italiana e quando nel 1988 ho trovato un annuncio, su un quotidiano belga, che cercava una ragazza alla pari a Roma, mi è sembrato il punto di partenza giusto per vedere di capire le mie origini, ed eccomi qui!“

“È contenta della sua scelta?”

“Bella domanda!

Si e no… In fondo sono rimasta in Belgio per 23 anni e mi sono costruita lì e dentro sono belga, gli altri 33 anni li ho vissuti incorporando una cultura nuova perché quella dei miei genitori era solo una piccola parte della cultura italiana”

 

– di Mattei