Cos’è il lavoro?

La mia concezione di lavoro è associata a quella dell’antica Roma e dell’antica Grecia e comprende questi tre concetti chiave: il bisogno, la fatica e il progresso. Concordo dunque con il pensiero virgiliano secondo cui il lavoro nasce dal bisogno (usus) ed è proprio per la necessità di ottenere qualcosa che l’uomo, in quanto essere razionale, utilizza ed affina il proprio ingegno per realizzare nuovi mezzi, tecniche e strumenti per riuscire a raggiungere il suo scopo. Il progresso tecnologico, però, non è immediato. Esso, come affermano Virgilio e Lucrezio deriva dalla consuetudine e dall’incessante esperienza della mente. Il labor, inoltre, è costantemente accompagnato dalla fatica quotidiana esattamente come accade per le api descritte da Virgilio nelle Georgiche 4, le quali si impegnano senza sosta in nome dell’ amor habendi , ovvero il desiderio di conservare ciò di cui necessitano nel caso in cui gli dovesse servire in un futuro meno prospero. La loro giornata tipo è, dunque, strettamente legata al concetto di fatica che però deve essere accompagnata da altri due concetti fondamentali ovvero l’organizzazione e la collaborazione: le api sono perfettamente organizzate e collaborano tra di loro dividendosi i vari compiti. Per questo motivo la loro comunità viene presentata come un modello da seguire. Anche nella nostra società, infatti, è necessaria la collaborazione di tutti, senza che nessuno rimanga nell’ozio. Sia in Virgilio che in Esiodo nel testo Il lavoro, l’ozio viene associato all’inoperosità dei fuchi che vengono cacciati e disprezzati dalle api e considerati come un modello negativo. Se non tutti facessero il proprio lavoro, in primo luogo ciò non sarebbe corretto nei confronti di chi lavora e fatica, e in secondo luogo il progresso dell’intera comunità risulterebbe ancora più lento di quanto non lo sia già. Per progresso intendo un miglioramento  della propria condizione che sia sul piano economico che su quello conoscitivo ed è solo grazie al lavoro che l’uomo riesce a progredire e ciò avviene gradualmente. Leggendo il brano di Esiodo delle Opere e i giorni, intitolato Eris buona ed Eris cattiva, ho avuto come la conferma che l’uomo sia spinto a migliorarsi e a lavorare, oltre che per il bisogno, anche per una buona contesa. Quella che l’autore chiama “Eris buona” è proprio quella sana competizione che spinge interiormente l’uomo a migliorarsi prendendo esempio dagli altri con cui si mette inevitabilmente a paragone. Il fatto che essa sproni al lavoro, inoltre, ci avvicina ad uno stile di vita sobrio, equilibrato e di elevazione morale. Concordo con la visione virgiliana che il labor porti alla temperanza, ad una crescita morale e quindi ad una condizione di felicità esattamente come accade per gli agricoltori descritti nelle Georgiche 2 in cui si elogia la vita contadina, accompagnata dal lavoro e dalla fatica,  che si contrappone a quella della città, contrassegnata dal lusso, dall’avidità e dall’ozio.

Isabella Pucci 4C cl