La donna e il lavoro: dal XIII secolo ad oggi

Per secoli la donna ha vissuto in una società fatta per gli uomini e ha dovuto pagare a caro prezzo ogni conquista di libertà e d’indipendenza.

Per molti secoli la funzione femminile era limitata all’ambito famigliare; il suo ruolo nei primi anni del 700 era quello di far crescere i figli e occuparsi della casa, o lavori nell’ambito domestico, nel lavoro tessile e nell’abbigliamento.

Tuttavia, il ruolo delle donne ha cominciato a cambiare mentre la rivoluzione industriale si stava svolgendo. Gli impatti della rivoluzione agricola hanno costretto molti piccoli agricoltori a migrare verso i centri urbani in cerca di lavoro nelle nuove fabbriche e miniere.

I lavori offerti alle donne erano sempre di scarso pregio, pesanti e retribuiti meno di quelli maschili. Ad esempio, Un lavoro comune per le donne in una miniera di carbone era di trainare carri di carbone. Durante questo periodo le donne hanno cominciato a organizzarsi e protestare per una maggiore uguaglianza nella società e sono quindi emersi i primi movimenti femministi.

Durante la rivoluzione industriale, questi combatterono in particolare per l’uguaglianza sul posto di lavoro, ma prima dovevano raggiungere uguali diritti di voto, che divenne una delle prime cose per cui le donne hanno iniziato a lottare e che acquisteranno solo nei primi anni del 1900.

Gli imprenditori giustificavano il salario inferiore delle donne perché pensavano che la loro assunzione fosse rischiosa. Pensavano che la donna potesse abbandonare il lavoro a causa del ruolo da madre, che all’epoca era incompatibile con quello da lavoratrice. Di conseguenza, gran parte delle impiegate non aveva più di trent’anni, anche perché esisteva, nell’Italia d’inizio Novecento, una legge che non consentiva alle madri di tornare a lavorare prima di un mese dal parto, ma la garanzia di riottenere il lavoro che svolgevano arrivò solo anni dopo.

Eppure, in molte industrie il numero delle donne superava quello degli uomini: le donne venivano preferite agli uomini perché ritenute più diligenti, facilmente controllabili e mansuete e meno costose e perché si pensava fossero meglio predisposte a svolgere alcuni lavori che le nuove macchine richiedevano, mentre agli uomini venivano riservati per lo più i lavori di fatica.

Ad ogni modo, studî recenti hanno anche dimostrato come la fitta presenza di donne nel sistema lavorativo di fine Ottocento abbia contribuito ad una nuova identità femminile, con maggiore consapevolezza dei proprî diritti e della propria autonomia. L’esperienza nelle fabbriche le spinse verso una nuova coscienza di sé: le lavoratrici erano più sicure delle proprie abilità, e di nuovi tipi di relazioni fuori le mura domestiche. In casa si svolgeva gran parte del lavoro femminile. Il lavoro domestico, era vitale per l’economia familiare: sia quando le donne lavoravano per lo stretto fabbisogno familiare, sia quando eseguivano lavori artigianali su commissione.

La condizione socioeconomica delle donne era quindi di drammatica disparità. Sul versante dei diritti civili e politici, a fine 800 erano nate le prime associazioni femminili in Italia. I dati su cui basare le ricerche sono scarsi perché, il lavoro femminile difficilmente veniva riconosciuto come tale e per di più lo stipendio era poco più della metà di quello dei lavoratori di sesso maschile.

Poiché anche il lavoro dei bambini era assai diffuso, e sottopagato, prima della prima guerra mondiale furono emanate alcune leggi per tutelare “donne e fanciulli”, quali soggetti deboli e sfruttati. La legge sul lavoro femminile del 1902 inoltre vietava l’impiego di lavoratrici in alcuni lavori ritenuti “pericolosi” ovvero ideologicamente incompatibili con le attitudini femminili. Lo Stato mostrava così di voler favorire al massimo il rientro delle donne in quella che riteneva essere la loro sede naturale: la casa.

Nel 1906 Maria Montessori si appellò alle donne italiane affinché si iscrivessero alle liste elettorali e sulla stampa si scatenò un dibattito fra i fautori del voto alle donne e i contrari.

Nel frattempo però alcune donne riuscirono ad entrare in ambiti da cui fino ad allora erano escluse: nel 1907 Ernestina Prola fu la prima donna italiana ad ottenere la patente, nel 1908 Emma Strada si laureò in ingegneria, nel 1912 Teresa Labriola si iscrisse all’Albo degli Avvocati e Argentina Altobelli e Carlotta Chierici vennero elette al Consiglio Superiore del lavoro.

Con l’avvento dell’epoca moderna e i cambiamenti che la società ha subito, specialmente dal dopoguerra a oggi, le donne hanno avuto più possibilità di studiare e di prepararsi ad affrontare il mondo competitivo del lavoro. Esse hanno cominciato a scorgere nuove prospettive che non fossero le tradizionali, imposte dalla famiglia. Così le donne hanno iniziato a svolgere ruoli professionali reputati maschili.

La 1° legge emanata sulla parità tra uomo-donna risale al 9 gennaio 1963 e nel 1977 è stata emanata una legge che vieta qualsiasi tipo di discriminazione, ovvero qualsiasi atto che produca un effetto pregiudizievole in ragione del sesso.

Conseguentemente è cambiata anche la mentalità delle famiglie in generale e oggi molte ragazze sono incoraggiate a proseguire gli studi e a non smettere di lavorare nemmeno quando hanno dei bambini. Tuttavia occorre osservare che nelle zone dove è maggiore la percentuale di disoccupazione, esse sono per buon numero donne e le opportunità di lavoro per queste restano molto inferiori e meno vantaggiose rispetto a quelle degli uomini. Infatti è ancora piuttosto diffusa l’opinione secondo cui il lavoro delle donne è solo aggiuntivo rispetto all’occupazione del marito; in effetti gli uomini hanno ancora oggi una capacità di guadagno molto maggiore rispetto alle donne anche a parità di prestazione.

Le donne si muovono in un mondo del lavoro che non è ancora pienamente favorevole alla loro presenza, specie se in ruoli di responsabilità e potere.

Sara De Luca 4N