Una vita dietro le mura di ferro

In Italia il 20 luglio del 2000 è stato istituito il Giorno della Memoria, celebrato per la prima volta il 27 gennaio 2001.

È stato scelto il 27 gennaio perché quel giorno, nel 1945, le truppe russe dell’armata rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, la più grande ed efficiente fabbrica della morte dei nazisti nel 1940.

Si registrarono 1.100.000 morti e dei 230.000 bambini solo una cinquantina sono sopravvissuti alle violenze dei nazisti; ed è proprio grazie ai superstiti se oggi abbiamo a disposizione queste testimonianze di crimini contro l’umanità.

Il campo di concentramento di Auschwitz è stato un vasto complesso di campi di concentramento e sterminio situato nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświęcim, costituito da 45 sottocampi e tre campi principali: Auschwitz 1, campo di concentramento, Auschwitz 2, campo di sterminio a Birkenau e Auschwitz tre, campo di lavoro a Monowiz.

La liberazione di Auschwitz non era tra le priorità per provocare la caduta di Hitler in Europa; fu il generale Petrenko a condurre le proprie truppe all’interno del campo, ignaro di tutto. La notte del 26 gennaio 1945 i tedeschi scapparono, eccetto una squadra di SS che distrusse le prove. Nel frattempo i prigionieri ancora in grado di camminare venivano trasferiti a piedi: vi erano uomini e donne di tutte le età costretti a marciare a piedi per migliaia di chilometri scalzi, malnutriti e assiderati.

La mattina del 27 gennaio 1945 i soldati russi dell’armata rossa arrivano per liberare i prigionieri ma si trovarono di fronte a persone ridotte pelle e ossa, mucchi di cadaveri, oggetti e vestiti. Le prime ore furono quelle dell’emergenza e del soccorso ai superstiti con l’aiuto del dottor Wolken, un medico prigioniero. Quando ad Auschwitz entra l’armata rossa, Wolken cerca di raccogliere e mettere al sicuro tutti i documenti, le carte d’archivio, le mappe e le fotografie; così diventerà un testimone chiave contro i nazisti.

Arrivati nel campo di Auschwitz 1, i soldati dell’armata rossa passano sotto il cancello di ferro con su scritto “il lavoro rende liberi” e si dirigono verso gli impianti di sterminio di Birkenau.

Dopo un’ora di scontri e sparatorie tra le due opposizioni la strada apparve spianata e i soldati del fronte ucraino, guidati da Curotnick, si diressero a liberare i prigionieri, distribuendo ai prigionieri cibo e cure grazie ad un medico militare che provò a organizzare la distribuzione dei primi soccorsi.

I pochi sopravvissuti, non più di 7500, rimasti nel campo non erano in condizione di restare in piedi e si trascinavano sul terreno gelato.

Di questi oltre 200 persero la vita nelle prime 24 ore, a causa del cibo distribuito dai soccorsi poichè i prigionieri ingerivano il cibo ma avevano organismi distrutti e debilitati, non più in condizione di poter assumere cibi solidi.

Agata Herskovits Bauer ci racconta che una notte, quando arrivarono i russi a liberare i prigionieri questi provarono tristezza per gli anni di vita che gli erano stati sottratti e per le loro perdite; inoltre per loro era difficile immaginarsi una vita oltre quelle mura poiché dopo mesi o anni di indicibili sofferenze era inimmaginabile una vita diversa, o addirittura felice.

Alice De Mattia e Ludovica Cordiglia IIIBX