Recensione del film “Nomadland”

Vincitore di molti premi tra cui tre oscar come miglior film, miglior regia e migliore attrice protagonista. Nomadland si può considerare uno dei film dell’anno, apprezzato molto dalla critica e dal pubblico; e un aspetto che lo rende ancora più indimenticabile oltre che per la sua qualità, è sicuramente la vittoria della regista Chloé Zhao, entrata nella storia come la seconda donna a vincere l’oscar nella categoria alla miglior regia.

Nomadland racconta la storia di Fern, una donna rimasta vedova che decide di iniziare una nuova vita nel suo camper, spostandosi per gli Stati Uniti dell’ovest. Nevada, South Dakota, California, New Mexico. Per poi ripetere lo stesso giro ogni anno. Tutti gli incontri, le esperienze, i luoghi, i lavori, la formeranno moralmente e riuscirà a comprendere il senso dell’esistenza, in un paese che ha ormai dimenticato le sue radici e che non tutela le minoranze.

Nomadland riesce a rappresentare bene lo stato d’animo di una donna, di una comunità e di una nazione smarrita e disorientata. Un paese che ha bisogno di riscoprirsi. Dunque si può definire un lungometraggio che vuole denunciare una società che pensa esclusivamente al consumismo, allo sfruttamento dei lavoratori, tanto da esaurire le loro forze per poi scartarli una volta che sono deboli e prosciugati per l’eccessiva quantità di lavoro, quindi sostanzialmente quando vengono considerati inutili.

La colonna sonora del film è principalmente costituita da brani di Ludovico Einaudi che aggiungono ed enfatizzano l’atmosfera poetica e potente che si crea anche grazie alla fotografia del film caratterizzata da colori caldi del cielo all’alba e al tramonto e della sabbia del deserto, trasmettendo quasi un senso di pace e serenità.

E quello che la regista vuole comunicare è di provare a seguire l’esempio di Fern: non guardare al domani cercando di tracciare per forza una strada, ma percorrerla senza troppe aspettative e vedere dove sarà lei a condurci.

Giulia Lucchi 3BL