• Home
  • Blog
  • Articoli
  • La schiavitù di ieri e di oggi, cittadinanza e partecipazione politica, i diritti umani e la tratta degli esseri umani

La schiavitù di ieri e di oggi, cittadinanza e partecipazione politica, i diritti umani e la tratta degli esseri umani

Lo sviluppo delle esplorazioni geografiche, la conquista delle Americhe da parte degli europei nel XV secolo e la successiva colonizzazione di questi territori nei tre secoli successivi diedero un grande impulso al commercio degli schiavi.
Il Portogallo fu il primo stato europeo a utilizzare schiavi, prelevati sulle coste occidentali africane, per soddisfare le necessità di manodopera interna.
Il forte aumento nella richiesta di manodopera di schiavi fu conseguenza della durezza delle condizioni che la colonizzazione spagnola impose in America latina alla popolazione indigena. Il duro lavoro nei campi, le pessime condizioni di vita e le malattie portate dall’Europa contribuirono a decimare la popolazione, che fu rimpiazzata con schiavi africani.
Nei primi anni del milleseicento nell’America del Nord, in Virginia, furono insediati i primi schiavi africani. Con lo sviluppo delle piantagioni nelle colonie del Sud, il numero degli africani importati come schiavi agricoli crebbe enormemente. Formalmente gli schiavi d’America, già prima della guerra d’Indipendenza americana, godettero di alcuni diritti, come quello all’istruzione, al matrimonio e all’assistenza medica; tuttavia, gli elementari diritti umani furono costantemente violati fino al XIX secolo. Il 26 agosto 1789 furono approvati i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, ancora oggi base di ogni costituzione democratica, con il nome di diritti fondamentali. Tra questi venivano sanciti la libertà e la resistenza all’oppressione, l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, e la sovranità nazionale. La dichiarazione stabiliva, inoltre, la libertà di espressione e di stampa. Il progetto, influenzato nella sua interezza dalla dottrina dei diritti naturali, vedeva la tutela di diritti individuali e collettivi considerati universali, cioè validi in ogni tempo e in ogni spazio per qualsiasi uomo in quanto tale, e attingeva molti principi politici e filosofici dall’Illuminismo e da filosofi come Thomas Hobbes, Jean Jacques Rousseau, e Montesquieu. Il 5 ottobre dello stesso anno, il Re Luigi XVI fu costretto ad accettare che il testo, dopo essere stato da lui approvato, venisse inserito nella Carta costituzionale. Nonostante il successo e la rilevanza di questa dichiarazione, due sono i grandi assenti del documento: le donne e gli schiavi. Non vi è alcun riferimento al ruolo della donna e all’abolizione della schiavitù. Ciò lascia intendere ulteriormente lo scontro tra due classi dello Stato e la negazione di ulteriore diritti che non erano affatto nel mirino degli interessi della Rivoluzione.

La schiavitù (lavoro forzato) purtroppo non è un ricordo passatto, ancor oggi milioni di persone vivono in questa in condizione anche se ufficialmente la schiavitù è condannata e vietata da tutti gli Stati. Non si conosce il numero esatto di questi moderni schiavi. Questo perché il lavoro forzato è un fenomeno sommerso, vietato e ciò non di meno possibile proprio grazie alla connivenza di quelle autorità che dovrebbero combatterlo. ll lavoro forzato si manifesta in diverse forme: servitù per debiti, traffico di persone e altre tipologie di schiavitù moderna, che hanno tutte un comune denominatore: si tratta di costrizione al lavoro di esseri umani che sono diventati in qualche modo “proprietà” di un’altra persona. Si tratta in genere di appartenenti a gruppi con uno status sociale inferiore, a minoranze etniche o religiose, a popolazioni indigene o a gruppi nomadi, molto spesso donne e bambini perché la loro situazione li predispone alla povertà e allo sfruttamento e quindi alla schiavitù. In passato il proprietario possedeva ‘legalmente’ gli schiavi che aveva spesso comprato ad un alto costo d’acquisto. Era quindi nel suo interesse ‘conservarlo’ nel miglior stato possibile, in modo da potersi rifare del suo investimento. Ora gli schiavi, anche se sono resi e mantenuti tali sotto la minaccia costante della violenza, e spesso fisicamente imprigionati, non sono ‘proprietà legale’ di nessuno, ma sono costretti a lavorare, senza compenso, per qualcuno fino allo sfinimento. Sono schiavi ‘usa e getta’: costano poco, c’è ne sono in abbondanza, e quando non ‘funzionano’ più si abbandonano a se stessi. Questo fenomeno è orribile e allo stesso tempo inconcepibile al giorno d’oggi. Si parla troppo di schiavitù: trattati, incontri. Poche cose concrete però sono state fatte da chi ha la possibilità come i governi. Ancora molto c’è da fare, ognuno, per quello che può, deve adoperarsi per fermare questo fenomeno ripugnante. Essere limitati nella propria libertà è qualcosa che va oltre la propria immaginazione. Nel film “il colore viola” ciò che salta all’occhio è la discriminazione razziale, tipica degli stati del Sud e che, come abbiamo visto, è parte integrante della vita di Alice Walker. Tuttavia, in questo caso la discriminazione non si limita al colore della pelle, dal momento che praticamente tutti i personaggi maschili, benché neri anch’essi, sono comunque rappresentati come molto forti e potenti. Vediamo, quindi, come sia molto forte anche e soprattutto la discriminazione di genere.
Tuttavia, quello che più colpisce all’interno della trama è la capacità della protagonista, aiutata in particolar modo da Shug e da Sofia, di elevarsi al di sopra di tutti gli stereotipi che le sono stati affibbiati e iniziare una nuova vita, una vita che non le è stata imposta ma che ha avuto la possibilità di scegliersi, dopo essersela immaginata per molti anni.

Lucilla Piantadosi 4C cl