Mai più bambini in carcere

Quando pensiamo al carcere pensiamo ai possibili reati commessi da chi si trova in questi luoghi e molto spesso crediamo che questi istituti detentivi siano la giusta conseguenza delle azioni criminose commesse da queste persone. Un fatto concreto, che ai più sembrerà irreale, è che alcuni finiscono dietro le sbarre senza aver commesso alcun reato, stiamo parlando dei bambini. La domanda sorge spontanea; è giusto tenere mamme e figli in carcere?

Per approfondire questo argomento mi sono rivolto a Gustavo Imbellone, membro del direttivo dell’associazione “A Roma, insieme – Leda Colombini” che da anni lotta per ottenere la detenzione delle mamme al di fuori dalle strutture penitenziarie. In Italia, infatti, dati del D.A.P (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) del 30 aprile indicano la presenza di 23 bambini sparsi nelle carceri Italiane. Ultimamente questo dato ha subito per fortunata un drastico calo, dovuto soprattutto al periodo che stiamo vivendo: infatti, per evitare ulteriore sovraffollamento nelle carceri, molti detenuti sono stati scarcerati prima della fine della pena.

In Italia se una mamma compie un reato va in carcere come misura cautelare o per esecuzione della pena e porta con sé il proprio bambino. Quella di portare il bambino in carcere è una scelta della madre spesso però condizionata da situazioni familiari travagliate e dalla impossibilità di affidare il figlio a parenti oppure addirittura a famiglie adottive (lo stesso Gustavo ha preso in custodia un bambino romeno in passato). Le mamme detenute hanno quindi la possibilità di non portare i figli in carcere ma di affidarli ai parenti, attraverso un atto che certifichi questo affido.

Per affrontare questo argomento bisogna obbligatoriamente partire dal 1975, quando avvenne la riforma dell’ordinamento penitenziario, una legge molto importante che ha modificato l’aspetto punitivo e repressivo delle carceri. L’ importanza di questa legge sta nel fatto che vennero istituiti gli ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri), poiché ci si rese conto che tenere bambini in carcere fino a tre anni era deleterio e ingiusto, e gli ICATT (Istituti a Custodia Attenuata per il Trattamento dei Tossicodipendenti). Gli ICAM dunque, rappresentano forme attenuate di carcere, un tentativo di umanizzare la pena detentiva. Tuttavia queste strutture somigliavano pur sempre a un carcere dotato di stanze con sbarre, con l’unica differenza che non erano presenti le unità carcerarie a sorvegliare il luogo.

La presenza di bambini in carcere è un tema che fa discutere, purtroppo, per il momento, è una realtà con la quale ci si deve confrontare. Alcuni penitenziari gestiscono questa situazione al meglio delle possibilità. Nel carcere romano di Rebibbia, ad esempio, è presente un nido che accoglie i figli delle detenute. Inoltre nel braccio femminile del penitenziario sono presenti una ludoteca, una stanza giochi e una sala pranzo.

Le modifiche proposte alla legge vigente (legge n.62/2011) che disciplina questa materia (mamme detenute in carcere) riguardano modifiche al codice di procedura penale. Nel senso pratico questa modifica prevede che nel momento in cui le autorità che procedono all’arresto si rendono conto che la persona arrestata è una madre, sono tenute ad avvertire il giudice che ha disposto l’arresto in modo che il soggetto arrestato non entri in carcere ma in ICAM o case famiglie. Per quanto riguarda i bambini che al momento sono ancora detenuti con le rispettive madri (12 in Italia), questi hanno la possibilità di andare a nidi esterni al carcere, soprattutto grazie al faticoso lavoro delle associazioni summenzionate, che hanno lottato per ottenere che bambini da 0 a 3 anni potessero uscire dal carcere non solo per la scuola ma anche per momenti ludici. Gustavo testimonia il fatto di come questi bambini, nonostante la giovanissima età, siano consapevoli di essere in un ambiente che non è casa loro, in più la vita in carcere è scandita dalla periodicità delle azioni compiute (ora di pranzo, ora di cena, ora di dormire). A peggiorare questa situazione c’è stato il Covid, che ha avuto conseguenze pesanti sulla detenzione in generale poiché i detenuti non potevano ricevere visite o pacchi provenienti dall’ esterno, inoltre il sovraffollamento ha causato lo sviluppo di focolai.

La legge che tutela i diritti delle Mamme e dei bambini detenuti è la legge 62 del 2011 la quale prevede sconti di pena che favoriscono quanto più possibile il rapporto affettivo madre-figlio. Questa legge tuttavia non è riuscita ad eliminare del tutto la presenza di mamma in case circondariali. È stato pedagogicamente provato che tra i 2 e i 3 anni inizia una sviluppo nel bambino che non può assolutamente verificarsi in galera, motivo per il quale è assolutamente necessario far uscire i bambini dalle carceri. Le soluzioni ci sarebbero: una per esempio è la concessione degli arresti domiciliari, dove possibile, l’altra è la apertura delle case famiglia. La contraddizione fondamentale sulla legge per le case famiglia protette è che esse non devono rappresentare un onere per lo Stato ma devono essere finanziate da volontari, enti locali e privati; l’obiettivo di questa riforma è far scontare le pene in strutture esterne al carcere, appunto queste case famiglia, ma lo Stato non vorrebbe oneri a suo carico. Una notizia molto incoraggiante è che la Legge di bilancio 2021-2023 prevede che lo Stato stanzi 1 milione di euro per queste case famiglia. Una domanda che ho posto a Gustavo è stata quale sarebbero le modifiche opportune da porre alla legge 62-2011, e lui, essendo esperto in materia, ha risposto che a suo avviso una mamma dovrebbe scontare la sua pena solamente se ha commesso reati di sangue, mentre invece per reati minori la pena dovrebbe essere scontata in strutture esterne al carcere.

L’argomento sarebbe molto lungo e interessante da affrontare, pertanto rimaniamo in attesa che il mondo politico accolga le proposte di modifiche pensando soprattutto alla tutela dei minori.

Nicolò Saputi – 3cu