Donne e lavoro

Lo scenario della Prima Guerra Mondiale vede, per la prima volta, le donne in azione. Nei paesi coinvolti nel conflitto, infatti, le vede per ben quattro anni, impegnate a sostituire gli uomini partiti al fronte, in moltissime professioni. Nonostante questo non le furono mai riconosciuti i suoi meriti, al contrario, la parità era ben lontana. Per non parlare del fatto che in alcuni paesi il fascismo e il nazionalismo ripresero gli aspetti della cultura maschilista e antifemminista. Fin dalla Rivoluzione Industriale, con la trasformazione della produzione e l’ingresso di macchinari nelle fabbriche, la donna inizia a mettersi in gioco, consapevole che il suo ruolo di lavoratrice al di fuori della famiglia può portare dei vantaggi nel mondo del lavoro. Diventano così operaie nelle fabbriche ricoprendo diverse mansioni. Tuttavia, in una società con concetti patriarcali, i lavori offerti alle donne rimanevano sempre mansioni di scarso pregio, spesso pesanti e faticose e per di più retribuite meno di quelle maschili. Da qui in poi inizia una lotta continua negli anni, per la conquista dei propri diritti, e una parità difficile da raggiungere. Le Associazioni femministe crescono in tutto il mondo e iniziano a farsi sentire, ribellandosi ad un mondo che le vuole solo madri e mogli. Un data che rimarrà impressa nella storia è quella dell’8 marzo 1908. Pochi giorni prima a New York, le operaie di una fabbrica, scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Quell’8 marzo il proprietario della fabbrica bloccò tutte le porte della fabbrica chiudendo dentro le 128 operaie. Presto si sviluppò un incendio e le operaie prigioniere morirono arse dalle fiamme. Da quel momento l’8 marzo assunse un’importanza mondiale, diventando il simbolo dei maltrattamenti che la donna ha dovuto subire nel corso della storia. Solo nel dicembre del 1977 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamò l’8 marzo come festa internazionale della donna, riconoscendole i suoi sforzi in gesti di pace, e la necessità di intervenire per una parità reale. Oggi le donne che lavorano sono molto di più rispetto al passato, ma lo fanno in un mondo che non è ancora pienamente favorevole alla sua presenza, soprattutto in ruoli ritenuti adatti ai soli uomini. Si può dire a questo punto che non siamo ancora in presenza al pieno raggiungimento delle pari opportunità. E se le difficoltà di realizzazione lavorativa sono così numerose per le giovani donne, per le madri è ancora più complicato. Dobbiamo purtroppo ammettere che non è un paese per le mamme. Il quadro dell’Italia in questo senso è alquanto allarmante se pensiamo che ci troviamo di fronte molto spesso a vessazioni, ordinarie ingiustizie, discriminazioni subdole che hanno come bersaglio le lavoratrici da poco diventati madri, considerate dalle aziende “meno produttive”. Lo confermano i sindacati che ogni giorno ricevono segnalazioni e raccolgono storie di donne vittime di mobbing al rientro dalla maternità, o addirittura durante la gravidanza. Nelle aziende si continua a demansionare, isolare e provare psicologicamente le lavoratrici fino a provocarne le dimissioni. Secondo l’Osservatorio Nazionale Mobbing 4 donne su 10 vengono costrette a dare le dimissioni. Solo negli ultimi due anni 800 donne sono state licenziate o indotte alle dimissioni. I casi che si trasformano in vere e proprie denunce sono pochi, e per la maggior parte sono le aziende che ottengono la meglio.

Succede anche che la denuncia verso i datori di lavoro viene ritirata senza avere neppure raggiunto un adeguato compromesso economico. Le lavoratrici subiscono in silenzio e quindi, esasperate e avvilite, se ne vanno per sempre. Il mobbing ha comunque le sue regole, e quello che per le aziende è un problema viene risolto senza che queste si sporchino le mani.

E così non sarà mai il datore di lavoro a prendere l’iniziativa e a licenziare. La legge, infatti, è dalla parte della donna che dice chiaramente che non si può mandare via una dipendente incinta o appena rientrata dalla maternità. Quindi sarà l’azienda ad aspettare che sia la lavoratrice stessa, psicologicamente provata, a chiedere le dimissioni. Ma se qualcuno decide di lottare, la maggior parte delle neo mamme vittime di mobbing preferisce arrendersi, pur di non continuare estenuanti duelli psicologici. Anche perché, dimostrare il mobbing, non è semplice. 

Da tutto questo si deduce che oggi la donna debba avere una grande forza, poiché per lei la vita, in determinati settori, è ancora tutta in salita. 

Azzurra Coscarella, IV A SIA