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Le due facce del divino: Vincent Van Gogh e Antonio Ligabue

ARTE E CULTURA: ARTISTI A CONFRONTO                                                

Articolo e grafica: Ginevra Saccà 4F, Liceo artistico Ripetta, sede Pinturicchio, Roma

«La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.»  

Giacomo Leopardi

Premessa

Per amare la natura bisogna saper amare la solitudine, perché essa prescinde da tutto: le sue regole sono le inviolabili regole che governano la vita stessa. Eppure, con il suo sorriso da madre, sa a chi donare le meraviglie del cielo e della terra. Vincent Van Gogh e Antonio Ligabue, due uomini di due tempi diversi – seppur vicini – hanno trovato in questa madre dolce e crudele la loro migliore compagnia, gioendo delle sue meraviglie, accettando la solitudine. Entrambi vivono dipendenti dalla natura e dalla solitudine, cibandosi avidamente di cieli stellati, di tramonti, di fiori, girasoli, animali, rapaci, tigri, belve, serpenti, di paesaggi sconosciuti, irreali, interni e intimi. Hanno divorato quel che potevano, costretti così a scegliere la solitudine (scegliendo di abbandonare gli uomini per accogliere e capire l’origine della vita), tesi a mostrare ai loro contemporanei (e a noi) ciò che loro stessi vedevano: l’essenza, la ferocia, la poesia, la determinazione, la crudeltà, la bontà e la bellezza della natura.  

                                                          ANALISI: LE DUE FACCE DEL DIVINO

AUTORITRATTI E IL RAPPORTO CON L’IO

É evidente, in entrambi gli artisti, che l’uso del colore è fondamentale: non sono forme che diventano colore, bensì il contrario. Quindi la forma emerge dal il colore, un colore pastoso, vivace, quasi metafisico. Non è un colore che riproduce la realtà, è un colore che riproduce la realtà percepita dall’interno. Interessante notare come sia Ligabue che Van Gogh non solo avevano una necessità innata nel voler identificarsi nella natura ma anche nel voler ricercarsi per comprendersi, riproducendo la loro immagine in numerosissimi autoritratti. Come se la propria ricerca per comprendere la natura li abbia portati a voler capire il proprio io. Ambedue deformano e modellano il proprio viso con pennellate veloci, nette, grandi ed eleganti. Ma c’è una differenza importante: Van Gogh si ritrae dando importanza sia a sé stesso che allo sfondo. Infatti, le pennellate dello sfondo sono le stesse usate per il suo autoritratto. Talvolta, sono pennellate curve, dritte, in continuo movimento, come se l’azione statica della posa del soggetto (ovvero, sé stesso) sia in realtà in continuo movimento. Questo movimento è dovuto alla luce, una luce non reale, ma interiore. Se prendiamo un oggetto e lo posizioniamo su un tavolo, lasciando la finestra aperta, possiamo vedere che, man mano che passano le ore, la luce e i colori attorno al soggetto cambiano in continuazione mentre il soggetto rimane fermo, ma anch’esso subisce il cambiamento della luce e dei colori dovuto al passare del tempo. Anche se la luce descritta da Van Gogh non è reale, bensì è una luce interiore, agisce come la luce “reale”. Quindi, gli autoritratti di Van Gogh all’apparenza sono statistici, ma in realtà sono in continuo movimento, proprio per il ruolo che ha la luce, descritto tramite le pennellate. Van Gogh si dipinge in contatto con l’esterno, proprio perché è lo sfondo (la luce) che “crea” la sua immagine e i colori. Così facendo, mostra un’estroversione verso il mondo e l’altro, proprio perché valorizza sia sé stesso che il mondo circostante. Van Gogh non era introverso, come contrariamente si potrebbe pensare, ma si era reso introverso. Lo dimostrano i suoi dipinti e i suoi autoritratti: ha represso il suo essere estroverso nella vita per svilupparla nell’arte. Nei rapporti sociali, si è sentito costretto a isolarsi per conservarsi e difendersi. Nei suoi quadri si dipinge con lo sguardo verso lo spettatore: si rivolge sempre verso l’altro. Quindi Van Gogh accetta l’altro, lo cerca, per questo lo sfondo (l’esterno) ha lo stesso peso della sua immagine.

Antonio Ligabue invece ha un rapporto con lo sfondo molto diverso: mentre la sua immagine viene dipinta con pennellate minuziose, una sopra l’altra, quasi fosse una scultura d’argilla, lo sfondo, seppur dipinto magnificamente, è privo di queste pennellate. Sembrano colori compatti che si incasellano (in un modo spettacolare) tra loro. La compattezza del colore dello sfondo in Ligabue, si potrebbe benissimo paragonare con lo sfondo di Klimt. Perché entrambi utilizzano lo sfondo per valorizzare il soggetto (mentre per Van Gogh il soggetto valorizzato è sia l’immagine che il suo sfondo). Sia Klimt che Antonio Ligabue descrivono uno sfondo che pare lontano, astratto rispetto al soggetto principale che invece è rappresentato in maniera realistica. Ma solo in questo si assomigliano Klimt e Ligabue, solo per il rapporto con lo sfondo, per il resto sono due artisti di animo molto diverso. Ligabue ha un animo più affine a quello di Van Gogh. Però questa compattezza e astrazione dello sfondo fanno emergere la sua profonda introversione. Introversione che cerca disperatamente un contatto verso l’altro. Ligabue dipinge sé stesso valorizzando lo sguardo, sicuro di sé, ma sfuggente: non guarda lo spettatore. È uno sguardo impossibilitato ad avere un contatto con l’esterno, perché egli si sente subito rifiutato dall’altro. E se l’altro lo rifiuta, egli allora rifiuta non solo il contatto visivo, ma anche lo sfondo, l’esterno attorno a lui: sente di poter contare solo su sé stesso e le sue forze, ma l’atto stesso di dipingere è dovuto al segreto desiderio di poter essere accettato e amato.

IL RAPPORTO CON LA NATURA

Sia Van Gogh che Ligabue, come già detto, sono due artisti che hanno reso protagonista in moltissime opere la natura. Il ruolo della natura, però viene rappresentato e visto in due modi diversi: Van Gogh lo idealizza, rende la natura magica, buona, la trasforma in un bellissimo sogno, quasi la rende astratta e metafisica, dando più importanza ai paesaggi e al cielo. I suoi quadri trasmettono una profonda serenità e un desiderio di contemplazione.  Ligabue è esattamente l’opposto: descrive la ferocia della natura, la sua carne, il suo sangue, le lotte, la morte, mettendo in risalto non i paesaggi e il cielo (che sembrano quasi di contorno) ma l’azione in terra degli animali che lottano, la vita che combatte per vivere almeno un giorno in più. I suoi quadri non trasmettono tranquillità, ma l’angoscia e la sofferenza della vita e della natura. Van Gogh ricerca nella natura un Dio reale, non il Dio mitico della narrazione biblica, irreale, ricerca invece un Dio che non è per forza buono o cattivo: un Dio che è e basta. Per questo lo ricerca nel cielo e negli incredibili paesaggi che egli rappresenta. E dato che per lui la natura è un Dio reale, rimpicciolisce l’azione dell’uomo o degli animali, per far emergere le piante, i fiori, gli alberi, il cielo, le stelle, fino ad arrivare alla luna. Tutte le sue opere sono contemplazione della bellezza divina, un sogno straordinario, un desiderio di libertà. Egli vuole regalare l’amore del divino, come fece il Cristo con i suoi seguaci. Tutto il suo lavoro artistico è rivolto all’umanità intera. Ligabue, di contro, descrive l’altra faccia di questa Natura divina, raccontandone i lati più tristi e sofferti, come la lotta del più forte sul più debole, vuole raccontare le sue brutali forze intrinseche. Egli stesso si identifica in quelle bestie che lottano: egli si fa non uomo, ma tigre, serpente, leone, rapace, volpe, pettirosso ecc.… racconta sì le leggi brutali della natura ma anche della sua personale lotta. Il suo lavoro è per sé stesso e per chi vuole conoscerlo, per esplorare l’altra faccia del divino.