Armati di penna e voce

Di Nicolò Saputi

La professione del giornalista negli anni si è rivelata essere molto ambita dai giovani che desiderano dare un contributo alla ricerca e alla diffusione della verità. Purtroppo la verità, ha fatto sì che molti giornalisti e in generale divulgatori venissero uccisi. Nella quotidianità di chi svolge giornalismo di inchiesta, sono frequenti le minacce, e nelle maggior parte dei casi queste minacce non restano semplici parole. Ne è un esempio Peppino Impastato, giornalista, attivista e conduttore radiofonico rimasto ucciso in un agguato il 9 maggio del 1978 a Cinisi nella sua città natale.

Peppino, affiancato dai suoi collaboratori, aveva utilizzato l’ironia per parlare di un argomento, che in quegli anni era tabù: la mafia. L’organizzazione criminale era riuscita ad infiltrarsi anche nella politica e Peppino Impastato attraverso la sua Radio (Radio Aut) cercava di svegliare le coscienze delle persone all’ ascolto.

La sua condanna a morte fu firmata da Gaetano Badalamenti, boss di Cosa Nostra. Un anno prima, infatti, aveva fatto recapitare al giornalista una lettera minatoria che recitava: “ti faranno male”, questo documento venne ritrovato anni dopo la sua morte. Come lui molti sono morti per inseguire l’ideale di un paese libero dalle ingiustizie, e altrettanti da anni vivono sotto scorta a causa delle minacce ricevute. Purtroppo da quegli anni, in cui la mafia mieteva vittime innocenti tra cui giornalisti, non è cambiato molto, e questa professione è sempre più a rischio.

Dati del 2021 rivelano che solo nei primi tre mesi del nuovo anno sono stati registrati già 63 casi di minacce, e più di 20 giornalisti ad oggi sono stati messi sotto scorta. Federica Angeli, sotto scorta dal 2013 per le inchieste condotte sulla mafia romana, ha affermato che condurre una vita così è come essere in una gabbia che leva il respiro e se da una parte garantisce sicurezza, dall’altra limita le possibilità lavorative. In Italia ciò che fa sorprendere è che a pagare, siano proprio i giornalisti che in qualche modo si ritrovano in una sorta di arresti domiciliari, mentre i mandanti di queste minacce, spesso, sono liberi e rimangono impuniti. Vivere sotto scorta per quanto possa essere fondamentale per la sicurezza è una continua privazione alla vita, perché una volta entrati nel programma di protezione, ad essere coinvolta è tutta la famiglia e non più il singolo. Ciò comporta un’esistenza ai margini, e a farne le spese sono le famiglie di queste persone, come disse Saviano “L’unico senso di colpa che ho è verso i miei familiari, io ho scelto, mentre loro hanno subito la mia scelta”. Bisognerebbe arginare questa falla del sistema, poiché ciò mette in pericolo la libertà di informazione, che sia attraverso una radio o un giornale. Le pene per chi commette questo tipo di reati (minacce) dovrebbero essere più pesanti così da evitare che questo fenomeno si diffonda.