Il giornalismo ai tempi dei social network

Da quando Johann Gutenberg inventò la stampa nel 1455,il ruolo del giornalismo nel corso dei secoli ha acquisito sempre maggiore importanza, reinventandosi e mutando via via difronte ai cambiamenti della società. L’ascesa di Internet e dei social networks ha per sempre cambiato il modo di fare informazione, costringendo le più importanti testate giornalistiche a fare i conti con questa realtà. Nel 2013 il fondatore di Amazon, Jeff Bezos ha comprato il Washington Post per 250 milioni di dollari, e tutti i più grandi quotidiani internazionali e italiani hanno puntato sul giornalismo online e sull’utilizzo dei vari twitter, facebook, instagram come strumenti attraverso i quali comunicare alle nuove generazioni, sempre meno abituate ad informarsi leggendo i giornali cartacei. I social networks garantiscono un tipo d’informazione telegrafica, in grado di catturare l’attenzione del lettore con il solo utilizzo di una story su instagram, di un post o di un tweet nel quale concentrare le informazioni necessarie.

Oggi chiunque potrebbe fare informazione, senza essere un esperto del settore, ma il rischio che un giornalista professionista corre è quello di non ricercare con il dovuto approfondimento e obbiettività la realtà dei fatti, ma di inseguire logiche di consenso e di omologazione, sfruttando i social come strumento per accrescere la propria popolarità e quella del proprio giornale. Nel 2020 Bari Weiss, redattrice editoriale del New York Times, si dimise dal giornale, sostenendo che si fosse identificato con la cosiddetta “cancel culture”, avendo estromesso ciò che è considerato scomodo dall’opinione pubblica e seguendo sempre di più le politiche di twitter, con l’evidente adattamento al suo pubblico d’utenza.

Nell’era dei social networks, il mondo dell’informazione ha, comunque, conosciuto una frammentazione dal punto di vista metodologico delle fonti, dovendo la stampa tradizionale interagire con gruppi di reports freelance, se non addirittura con improvvisati testimoni di eventi, più o meno rilevanti, che vengono pubblicati direttamente sui profili social. Del resto, non avremmo conosciuto le modalità dell’assassinio di George Floyd senza la ripresa in diretta di un cellulare, né le dinamiche dell’attentato del Bataclan.

Resta la duplice eventualità che fonti dirette possano costituire uno strumento di manipolazione della notizia, oppure una garanzia di autenticità della stessa.

Il rischio è quello di un cortocircuito tra pluralismo e sovrabbondanza della comunicazione, con il prevedibile effetto di una maggiore immediatezza e velocità della notizia senza, talvolta, i dovuti tempi di verifica.

Altro elemento di riflessione è la dicotomia tra la varietà delle fonti online e l’uniformità della comunicazione da parte dei poli editoriali più influenti in un contesto di villaggio globale.

Leonardo Maria Ferrara