La strage di Via D’Amelio, storia di un sopravvissuto

Di Martina Di Marcello e Angela Cartacci

“Mi sono ritrovato all’inferno”, queste sono le parole pronunciate da Antonio Vullo (agente di scorta e unico superstite della strage di via D’Amelio) nel docufilm “Paolo Borsellino. Adesso tocca a me”.

Il 19 luglio del 1992 alle 16:58 una fiat 126 rubata e contenente circa 90 kg di esplosivo venne fatta esplodere in Via D’Amelio a Palermo, provocando la morte del magistrato Paolo Borsellino e di cinque agenti della scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina).

In via d’Amelio abitavano la madre e la sorella del magistrato e, anche se Borsellino si recasse spesso a far loro visita, la polizia non aveva acconsentito a mettere un presidio fisso. Il giorno della strage Vullo aveva visto il giudice fumare la sua ultima sigaretta di fronte al cancello del vialetto, situato prima del portone del palazzo, una volta varcata la soglia del viale l’agente decise di spostare la vettura, perché il gruppo una volta entrato risultava invisibile ai suoi occhi.vMa in quel preciso istante ci fu la deflagrazione.

“Lo Stato era a pezzi” e ciò fu evidente durante i funerali delle scorte: la folla inveì contro i politici e lo stesso Presidente della Repubblica. vI funerali di Borsellino si svolsero, invece, in forma strettamente privata e la famiglia chiese ai politici di non partecipare alla cerimonia.

Vullo fece visita alla camera ardente del giudice poco dopo essere uscito dall’ospedale per dare un ultimo saluto al magistrato, dove incontrò la sig. Borsellino e il figlio.

Gaspare Spatuzza inizia a collaborare con la giustizia nel giugno del 2008, autoaccusandosi di aver rubato lui la Fiat 126 usata per l’attentato, facendo i nomi dei suoi complici, e con le sue dichiarazioni tutti pensarono di essere arrivati ad avere tra le mani una verità che avrebbe fatto un minimo di chiarezza sull’accaduto.

Ancora oggi, però ci sono ombre sui veri responsabili della strage e ci sarebbe bisogno di un “pentito di Stato” per capire ciò che è realmente accaduto poiché all’epoca forti erano i legami fra la mafia, alcuni politici e funzionari di Stato. Come dichiara lo stesso Antonio Vullo tutt’ora si reca spesso a Via d’Amelio per ricordare i suoi amici che hanno perso la vita quel giorno dove una parte della sua vita se n’è andata via con loro.

Paolo Borsellino dimostrò la sua forza e il suo coraggio: dopo la strage di Capaci, 23 maggio 1992, dove trovarono la morte Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta, egli fu sempre cosciente che la prossima vendetta mafiosa sarebbe stata rivolta a lui. Borsellino continuò le indagini di Falcone, che aveva dimostrato l’esistenza di cosa nostra, e preziosa fu la collaborazione dei pentiti Messina e Mutolo.

“Occorre dare un senso alla loro morte” queste sono le parole pronunciate da Borsellino durante la commemorazione per la strage di Capaci e ciò è l’eredità spirituale che ci ha lasciato.