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La mafia usa i social? Come le nuove tecnologie vengono sfruttate dalla Mafia

Di Francesca Fiorani e Federica Bacchi 

Durante la terza giornata della Summer School tenuta dall’agenzia stampa Dire e Diregiovani, abbiamo avuto l’occasione di ascoltare e assistere agli interventi del giornalista e portavoce di Pietro Grasso, Alessio Pasquini, e del presidente della Rete 100 Passi, Danilo Sulis.

Ma che valore ha essere il portavoce del presidente del senato? Ce lo spiega Alessio Pasquini tramite la visione di alcuni post sulla pagina Instagram “pietrograsso”, illustrando come la rappresentazione sul web abbia ormai acquisito una certa importanza. Infatti negli ultimi anni siamo stati testimoni di una vera e propria rivoluzione digitale che ha cambiato in modo significativo le forme di comunicazione, portando i professionisti ad attribuire alla nostra epoca il nome di ‘Era dei social’.

Questa rivoluzione digitale ha toccato l’intera popolazione, coinvolgendo tutte le fasce di età e dimostrando una certa versatilità nei termini d’utilizzo: basti pensare allo sfruttamento dei social media come luogo di incontro o di condivisione o come vetrina illustrativa, senza trascurare i lati del web che diramano in altre sfaccettature più buie e oscure.

Ma, come chiesto da una giovane spettatrice, la mafia utilizza i social? Se si, che uso ne fa? Inevitabilmente anche la mafia è sbarcata sui social, spesso con lo scopo di rinforzare brand e potere, di nascondere la transazione di denaro all’estero o di condurre affari online. Per far ciò, la donna rappresenta una chiave d’accesso: infatti, nell’eventualità che un membro mafioso venga arrestato, spetta alla compagna portare avanti il profilo social per gestire la comunicazione. “Sono più appariscenti e colpiscono più l’attenzione ottenendo più seguito e così il messaggio viene diffuso maggiormente” afferma un ricercatore delle scienze politiche.

In risposta alla domanda viene usata come punto di riferimento la storia del boss mafioso Bernardo Provenzano, che dopo 43 anni di latitanza riuscì nella realizzazione di un sistema di comunicazione fatto di pizzini piccolissimi. Questi svolgevano la funzione di recapitare messaggi ai destinatari evitando di lasciare qualsiasi traccia e di essere intercettati, telefonicamente o telematicamente e adottando per motivi di sicurezza un linguaggio cifrato, criptico.

In molti casi di latitanza, dalla Camorra alla Mafia, la cattura di determinati personaggi è stata dettata proprio dalla scarsa attenzione e dalla comune inconsapevolezza dell’utilizzo dei social media: esempio è l’arresto del sopraccitato Provenzano che è avvenuto solo in seguito a una comparsa del suo braccio tatuato nella storia della compagna.

Danilo Silus, presidente della radio 100 passi, invece ha raccontato di come siano comparse tempo fa delle pagine Facebook che inneggiavano alla mafia e di come sia riuscito insieme all’associazione della Radio 100 passi nell’eliminazione di queste, grazie al contributo di Facebook stesso.  Altro caso importante è quello che ha visto come protagonista la catena di ristoranti “La Mafia se sienta a la mesa”, («la Mafia si siede a tavola») in Spagna, che si promuove e ha dietro queste figure. Il Tribunale dell’Ue bocciò infatti la proposta di marchio commerciale per la catena di ristoranti spagnola poiché la mafia non può e non deve essere associata ad alcuna attività piacevole o innocua ma solo ad attività di criminalità organizzata.

Un caso simile si è verificato nel 2013, quando la Radio 100 Passi, ritenendolo offensivo e inaccettabile, ha chiesto anche l’intervento del governo per far chiudere una panineria in Austria che promuoveva in rete panini dai nomi come “Falcone grigliato come un wurstel”.

Sono stati usati i social anche al fine di promuovere l’uscita di un libro nel 2016 scritto dal figlio del boss dei boss di Cosa Nostra, Totò Riina. All’interno del libro viene raffigurato un Salvatore Riina ben diverso da come lo conosciamo: primeggia infatti l’idea di Totò come buon padre, dai tratti premurosi e amorevoli, piuttosto che del boss mafioso e terrorista italiano.

Più recentemente, grazie ai social si è venuti a maggior conoscenza anche di vicende legate ad associazioni a delinquere per spaccio e riduzione in schiavitù, come l’episodio legato ai fratelli Francesco e Juan Carlos Spada, che umiliarono su tiktok un ragazzo rumeno di 25 anni.

La condivisione sul web è sicuramente il metodo di comunicazione più svelto e facile da attuare ma anche da occultare: è stato quindi inevitabile che la mafia e/o associazioni criminali abbiano alimentato e abbiano tratto vantaggio dalla rivoluzione digitale.