Commento a “L’Infinito” di Leopardi

Giacomo Leopardi, figlio della marchesa Adelaide Antici e del conte Monaldo Leopardi, è stato il più importante esponente della corrente lirica del Romanticismo italiano e uno dei poeti cardine della letteratura italiana e mondiale. Nacque il 29 giugno 1798 a Recanati, “il natìo borgo selvaggio”, una cittadina nel marchigiano. Venne a mancare il 14 giugno 1837 a Napoli. Nel suo paese di nascita, come nel suo corpo, il poeta si sente imprigionato, e questa condizione diventa lo spunto per esprimere una concezione pessimistica della vita in cui all’umanità non restano altro che dolore e infelicità. È qui che interviene la poesia: essa dà la possibilità alla specie di guardare oltre il travaglio esistenziale, ha una funzione consolatrice; funzione caratteristica della poesia “L’Infinito”, la sua opera probabilmente più conosciuta.

L’OPERA

Nella sua versione definitiva, venne terminata a Recanati nel 1819, ma pubblicata solo nel 1825. In quest’opera l’autore si lascia del tutto alle spalle i caratteri neoclassici che lo avevano accompagnato in precedenza, entrando nel pieno della nuova corrente poetico-filosofica del Romanticismo. L’infinito, altresì, è da considerarsi negativo, in quanto mèta del desiderio umano.

Per quanto riguarda la struttura metrica, il testo si presenta come composto di un’unica stanza suddivisa in quindici versi endecasillabi sciolti. Si tratta di uno dei piccoli idilli contenuti nella raccolta di poesie “Canti”.

Nell’opera viene trattata la mastodontica potenza dell’immaginazione di spingere l’uomo oltre i limiti dell’esistenza materiale e di avvicinarlo all’obiettivo (romantico) dell’assoluto.


Il linguaggio è molto variegato: si possono trovare sia comuni vocaboli di registro medio-basso (sempre, caro, colle, siepe, vento…) sia lessemi (unità linguistiche aventi significati autonomi) e locuzioni di ordine più elevato . Tale caratteristica non è singola di questo componimento, ma può ritenersi tipica del Leopardi. 

Nell’Infinito sono ben riconoscibili due piani differenti. Il primo che ci si palesa leggendo la poesia è il piano delle cose terrene, materiali (raggiungibili per l’umanità) in cui c’è partecipazione affettiva identificato dall’aggettivo dimostrativo “quest*”; il secondo piano che ci viene sottoposto è quello delle cose ultraterrene, immateriali, immaginarie (di là dalla facoltà conoscitiva umana), identificato dall’aggettivo dimostrativo “quell*”. I due piani sono quindi da intendersi come una grande antitesi che si sviluppa nel corso del testo. Al termine del componimento, tuttavia, i due piani non sono più identificabili singolarmente poiché si fondono l’uno con l’altro.

LE METAFORE

Essendo il componimento allegorico, sono riconoscibili numerose metafore: “il naufragar m’è dolce in questo mare” (l’immaginazione umana è sconfinata tanto quanto il mare), “E come il vento odo stormir tra queste piante” (il vento soffia tra le frasche così come il pensiero può danzare tra gli indefiniti spazi della mente) e “questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” (essa blocca lo sguardo verso l’orizzonte come un ostacolo fisico e mentale blocca l’uomo nel raggiungimento l’assoluto); “io quello infinito silenzio a questa voce vo’ comparando” (si tratta di un’antitesi in quanto il poeta mette a confronto il silenzio con quella che viene definita una “voce”, ma in presenza di una voce non ci sarebbe silenzio), “e le morte stagioni, e la presente e viva” (le stagioni morte sono quelle passate, mentre quelle vive sono le stagioni in corso) e “il naufragar m’è dolce in questo mare”.

COMMENTO


In questa poesia,  Leopardi è stato in grado di trattare argomenti molto profondi con metafore a tratti complesse, a tratti più semplici. Si tratta di un’opera che è in grado di far fluttuare la mente umana, di farla andare su e giù, avanti e indietro, dentro e fuori, attraverso la realtà e l’immaginazione, tra l’astratto e il concreto, tra il definito e l’indefinito, come in un viaggio mentale. “L’infinito” scatena nei lettori sensazioni molto particolari: talora piacevolezza, musicalità, serenità, talora intensità e inquietudine (si parla di colle ermo, di spazi interminati e di silenzi sovrumani). Tutti almeno una volta nella vita ci siamo sentiti soli, isolati come Leopardi. Come si può non immedesimarsi, come si possono non provare emozioni quando si leggono opere fuori dal tempo come questa. 

 

di Michelangelo Grimaldi