Era il 1964 quando lo psichiatra infantile Boris M. Levinson coniò il termine “pet therapy”, lanciando una nuova terapia consistente nell’impiegare animali da compagnia, quali cani, gatti, cavalli o criceti, per curare malattie specifiche.
Infatti, è scientificamente dimostrato come il prendersi cura -o anche solo la presenza- di un animale possa apportare dei benefici sia fisici che psichici all’individuo.
Dal punto di vista fisico, riduce i livelli di ansia, riducendo il livello di cortisolo, detto anche “ormone dello stress, nel sangue. Inoltre, riduce la pressione sanguigna e il battito cardiaco, nonostante le cause di tutto questo siano ancora in fase di indagine.
Dal punto di vista emotivo, invece, la presenza di un animale, offre interessante e il più delle volte vivaci spunti di conversazione, stimolando di conseguenza la comunicazione e le relazioni sociali.
In caso di persone affette da disturbi dello spettro autistico, che presentano difficoltà a comunicare e interagire con gli altri, l’introduzione di cani nelle sedute terapeutiche ha avuto effetti incoraggianti, soprattutto nei bambini, che grazie agli animali migliorano il livello di attenzione e delle interazioni sociali.
Di Elena Guelfi