La casa di foglie

Solo la conoscenza può illuminare quel luogo senza fondo, svelando l’abisso, che è invece assente in tutte le riprese e in tutti gli scatti“. Questo è ciò che Zampanò batte a macchina per il suo manoscritto.

L’autore della Casa di foglie è Mark Z. Danielewski, uno scrittore statunitense, che ha affidato il compito di riportare la storia su carta a Johnny Truant, un ragazzo di circa vent’ anni che vive a Los Angeles e fa il tatuatore.

LA STORIA

La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo redattore, l’anziano Zampanò. Il romanzo inizia con una narrazione in prima persona di Johnny Truant, il giovane tatuatore in cerca di un nuovo appartamento. Il suo amico Lude lo informa che nel suo condominio se ne è appena liberato uno, appartenuto a un anziano cieco deceduto di recente, un certo Zampanò. Nell’appartamento Truant trova un manoscritto dal titolo “Storia di Navidson” che si rivela essere un saggio accademico su una pellicola documentaristica incentrata sulle indagini compiute dalla famiglia Navidson su una serie di inspiegabili ed inquietanti fenomeni fisici verificatesi nella loro nuova casa.

La famiglia Navidson si è da poco trasferita nella nuova casa in Virginia. Ritornando da un viaggio, Will Navidson scopre che qualcosa è cambiato nell’edificio: dove prima c’era un semplice muro spoglio, è ora comparsa una porta che apre su uno spazio simile a un armadio, nel cui fondo è presente un’ulteriore porta che dà direttamente nella camera dei bambini. Investigando su questo singolare fenomeno, Navidson scopre che le misurazioni interne della casa sono, in qualche strano modo, più ampie di quelle esterne. Inizialmente la differenza si limita a pochi centimetri (circa un pollice), ma col passare del tempo l’interno della casa sembra espandersi vistosamente, pur mantenendo le stesse proporzioni esterne. Un terzo cambiamento ben presto si manifesta: un lungo vestibolo scuro nel loro salotto, che fisicamente dovrebbe sporgere poi all’esterno della casa, ma ciò non succede. Navidson riprende con la sua telecamera questo strano spazio che battezza come “Il corridoio dei cinque minuti e mezzo”. Questo conduce ad un complesso simile ad un groviglio, a partire da una larga stanza che conduce ad uno spazio ancora più ampio, dal cui centro parte un’enorme scalinata a spirale discendente, apparentemente senza fine. Un insieme di spazi confusi e netti al tempo stesso, migliaia di stanze e di mura ammantate da tenebra nera, un gioco di ombre e luci agghiacciante che si appiglia all’immaginazione. L’intrico di vicoli bui sembra sia soggetto a mutazioni in base alle persone che vi entrano. La percezione cambia e di conseguenza si allungano le forme così come si restringono, si trova la fine o si cade nel vuoto più silenzioso.

A questo punto sorge spontanea una domanda: il labirinto si trova nella casa o nei personaggi che la abitano? Un ringhio riecheggia tra le mura e negli abissi dei personaggi stessi. La follia artiglia i loro cuori e, mentre tutto si sgretola, crepa dopo crepa, ognuno si incammina per la propria strada col peso del ricordo sulle spalle.

Questa peripezia avvincente viene filmata da Navidson, sua moglie poi ricompone i frammenti e pubblica il tutto. I commenti, le recensioni e la storia del film sono quindi narrati da Zampanò. Ma è la sua vera identità questa? Cosa lo ha perseguitato così tanto da portarlo a scrivere quello che noi leggiamo nella Storia di Navidson? È tutto inventato o le parole che troviamo sono state davvero pensate e confessate ad alta voce dai personaggi?

Le giornate di Truant sono ormai un rincorrersi di frasi antiche, bruciate, cancellate, scritte su un fazzoletto, imbrattate d’inchiostro. La storia del vecchio vive in lui e al ragazzo è stata affidata la missione di dare vita alle pagine impolverate e dimenticate in un baule scuro.

di Giulia Tiranno