Peppino Impastato: la mafia uccide, il silenzio pure

Il 9 maggio 1978 la mafia uccideva a Cinisi Giuseppe Impastato, attivista che ha lottato per più di 15 anni contro mafia, sopraffazione, oppressione, sfruttamento, corruzione e malaffare. Giovanissimo, in aperto conflitto con il padre – gravemente colluso, come altri membri della famiglia, con la mafia locale – ha maturato un forte impegno politico, che lo ha portato a diventare il padre fondatore di numerose istanze antimafia.
Prima fra tutte Radio Aut, un’emittente radiofonica dalla quale trasmetteva quotidianamente, insieme ad alcuni suoi compagni, denunciando affari sporchi e deridendo don Tano Badalamenti, che simbolicamente viveva a “100 passi”
da casa Impastato. Ideatore del periodico “L’idea socialista” e del circolo “Musica e cultura”, li trasforma in centri di aggregazione giovanile e luoghi di controinformazione da cui denuncia scempi ambientali, abusivismi, soprusi e clientelismo. Per mezzo di queste attività, egli porta alla luce il silenzioso ruolo sociale svolto dalla mafia nel tessuto disagiato del Sud, che tesse le sue tele estendendosi a politici e amministratori locali.

Candidatosi nel 1978 alle elezioni comunali nelle fila di Democrazia proletaria, nel maggio dello stesso anno, nel corso della campagna elettorale, viene ucciso e il suo corpo martoriato da una carica di tritolo collocata sulla ferrovia Palermo-Trapani.

Le indagini sulla morte di Impastato furono subito depistate da parte delle forze dell’ordine, probabilmente anch’esse in combutta con il boss. “Si voleva far credere che Peppino fosse morto mentre stava maneggiando l’esplosivo” ha detto Massimo Russo Tramontana, uno dei collaboratori dell’associazione : “Volevano far credere che Peppino fosse un terrorista”.

La vicenda dell’assassinio di Giuseppe ebbe una risonanza mediatica talmente estesa che giovani da tutta l’Italia parteciparono ai suoi funerali.
A Peppino è stato poi intitolato il Centro siciliano di documentazione già fondato nel 1977 da Anna Puglisi e Umberto Santino che ha condotto importanti battaglie legali e promosso eventi di approfondimento e di sensibilizzazione.

Casa Memoria, nata nel 2005, è la casa dove Peppino ha vissuto insieme alla sua famiglia, che sua madre Felicia apre al pubblico dopo l’omicidio del figlio. Dopo la morte di Felicia, i suoi familiari, a partire dal figlio Giovanni, mantengono la promessa di continuare a tenere aperta la casa, che oggi è diventata una Casa-Museo, da molti anni punto di riferimento per migliaia di studenti. Giovanni, che oggi si è fatto portatore della memoria della sua famiglia, ha contribuito alla trasformazione della sua ex dimora in un museo dell’antimafia, luogo di divulgazione culturale, avamposto della resistenza contro l’oppressione e la mafia, gestita dall’associazione Casa memoria Felicia e Peppino Impastato, la cui presidente è Luisa Impastato, nipote di Peppino, che fin da bambina ha ascoltato i racconti di nonna Felicia, prendendo il testimone di questa storia, per continuare a farla conoscere alle nuove generazioni.

Quella di Peppino e Felicia è una storia di verità e giustizia contro la violenza mafiosa.
Mamma Felicia è stata la prima donna entrata a far parte, dopo il matrimonio, di una famiglia mafiosa che, in seguito alla tragica perdita del figlio, ha deciso di ribellarsi ai dettami della cultura dell’omertà e all’imposizione del silenzio. E’ scomparsa poi nel 2004 dopo un lungo ed estenuante percorso per ottenere giustizia per il figlio Peppino.

“La mafia si combatte con la cultura, non con la pistola”
– Felicia Bartolotta

È stata proprio la nostra esperienza all’interno della casa a farci comprendere quanto Peppino viva ancora attraverso il ricordo delle sue azioni, e quanto il suo messaggio sia attuale.

La lotta al sopruso e all’ingiustizia si può fare anche nel quotidiano, nel proprio piccolo. Così lui decise di non farla passare liscia al boss del suo quartiere, Gaetano Badalamenti, che viveva a “cento passi” da casa sua, e lo fece senza nascondersi dietro nessuna maschera. Dimostrò nel migliore dei modi il potere dell’aggregazione giovanile e non, che fu una vera e propria costante all’interno della sua lotta.
La storia di Peppino Impastato continua a colpire i giovani di ogni generazione proprio per questo motivo: perché, proprio come loro, non aveva bisogno di indossare una toga, di andare in televisione o di partecipare ai processi in tribunale per dire “no” alla mafia.

di Giuseppe Colameo e Marina D’Aulerio