Il lavoro nell’arte

 L’essere umano ha da sempre rappresentato le proprie attività, anche quelle lavorative, con espressioni artistiche: non sono pochi i graffiti risalenti alla preistoria ove si vedono raffigurate scene di caccia che rappresentava il mezzo più importante per procacciarsi il cibo. La caccia non era uno svago ma un vero e proprio lavoro, cui gli uomini erano dediti per sopravvivere.

Anche oggi la funzione principale del lavoro è garantire i mezzi per vivere dignitosamente ed è per questo motivo che nel nostro Paese esso è considerato un diritto inalienabile, sancito nell’Articolo 1 della Costituzione.

In tutte le civiltà che si sono susseguite le attività lavorative sono sempre state oggetto e soggetto di opere d’arte. Infatti pittori e scultori ma anche musicisti, attori e autorevoli rappresentanti di altre forme d’arte come, ad esempio, la danza, si sono cimentati nella rappresentazione dei lavori che li avevano ispirati. Ma quali sono i motivi che spingono l’estro di un artista a rappresentare in arte il “lavoro”? Sicuramente la ragione principale è la sensibilità dell’artista, attratto dalla bellezza di un gesto, di un momento o di un movimento ma, a volte, anche di un semplice oggetto che è tipico di un’attività lavorativa, come un paio di scarponi da contadino rappresentati da Van Gogh. Ma perché Van Gogh si mette a dipingere un paio di scarponi da contadino o una scena di raccolta delle olive come quella conservata al National Gallery of Art di Washington?  Probabilmente perché Van Gogh, come la stragrande maggioranza dei rappresentanti di ogni forma d’arte, fu molto sensibile al tema del lavoro inteso come forma di sopravvivenza, non come mezzo per migliorare la propria condizione sociale. Infatti, tutta l’opera dell’olandese è alla continua ricerca estetica d’una verità spirituale e mette in evidenza la dignità umana dei lavoratori e delle lavoratrici; ecco perché nel dipinto degli scarponi questi sono puliti, senza il minimo segno che possa far pensare che il lavoro dei contadini possa non essere un lavoro dignitoso.

Ma l’opera d’arte più rappresentativa del mondo del lavoro è un quadro, olio su tela, che già nelle dimensioni è eccezionale:  è alto quasi tre metri ed è largo poco meno di cinque metri e mezzo, è di proprietà del Comune di Milano, che lo espone a titolo gratuito nel Museo del Novecento, ed è il famosissimo quadro di  Giuseppe Pellizza da Volpedo, dal titolo “il Quarto Stato”.  Il quadro  esposto è stato dipinto in circa tre anni ma lo studio che lo ha preceduto si è protratto per una decina d’anni, anni durante i quali  Pellizza ha realizzato numerosi bozzetti a partire dal primo, del 1892, che l’artista intitolò “Ambasciatori della Fame” , ispirato da una manifestazione contro l’alto prezzo del pane che si tenne proprio a Volpedo.  Perché  Pellizza si adoperò così tanto per rappresentare una manifestazione di protesta? Lo stesso pittore scrive: “La questione sociale s’impone; molti si sono dedicati ad essa e studiano alacremente per risolverla. Anche l’arte non deve essere estranea a questo movimento verso una meta che è ancora un‘incognita ma che pure si intuisce dover essere migliore a patto delle condizioni presenti”. Pellizza  non si limita alla mera rappresentazione di una scena ma ne elabora i particolari in modo talmente raffinato che addirittura i volti di molti dei personaggi raffigurati sono dei veri e propri ritratti di persone realmente esistiti e la cura della luce, delle ombre e dei raggruppamenti delle persone  fanno intuire che egli si sia lasciato ispirare dalla tecnica utilizzata in precedenza da illustri suoi predecessori, come Leonardo Da Vinci ne “L’ultima cena” dove i personaggi sono, appunto rappresentati a tre a tre.

Il senso civico degli artisti non è prerogativa solo dei pittori e non lo troviamo solo nel passato:  basti pensare a quante moderne canzoni mettono al centro la condizione sociale dei lavoratori, a quanti film trattano quest’argomento, a quante poesie rivendicano la dignità e i diritti dei proletari, basti ricordare “Domande di un lettore operaio” di Bertolt Brecht; “Il vecchio muratore” e “I colori dei mestieri” di Gianni Rodari; “Ai miei obblighi” di Pablo Neruda. 

Gli artisti hanno avuto, hanno ed avranno sempre una fortissima sensibilità d’animo che li contraddistingue e proprio questa loro sensibilità li spinge spesso ad impegnarsi nel sociale.

 Capo Emilia , V D no