Tutto ha inizio il 7 febbraio 2020, quando un comunissimo ragazzo egiziano, nato nella città di Mansoura, che studia all’Università di Bologna, dove segue un master sulla parità di genere, viene arrestato. Patrick Zaki, questo il nome del ragazzo, era appena rientrato in patria per andare a trovare la sua famiglia, quando è stato fermato dalle forze dell’ordine egiziane all’aeroporto de Il Cairo. La causa scatenante: un articolo scritto dallo stesso Patrick sul regime egiziano, criticato per il suo modus operandi, poiché essendo una dittatura, limita estremamente la libertà di espressione delle persone.
Zaki viene torturato durante gli interrogatori, in cui viene interrogato sul suo lavoro, sull suo attivismo per la comunità Lgbt e sulla sua collaborazione con l’Ong egiziana Eipr. L’arresto viene formalizzato l’8 febbraio 2020, con diverse accuse: istigazione alla violenza, alle proteste, al terrorismo e la gestione di un account social con lo scopo di minare la sicurezza pubblica.
Nel frattempo questo caso si accavalla con l’emergenza Coronavirus che complica la situzaione. Infatti, a causa della pandemia iniziano un susseguirsi di rinvii delle udienze. Nonostante ciò, tutto il mondo si mobilita per cercare di far liberare Patrick, tra politici e intellettuali, passando per celebrità di fama mondiale, ma le udienze continuano ad essere rinviate. Trascorre un anno e l’umore dello studente e attivista sembrano calare a picco, a giudicare dai messaggi inviati alla famiglia e agli amici.
Ma ad un certo punto, qualcosa cambia. Nel mese di settembre accade una svolta, anche se non del tutto positiva: Patrick Zaki viene nuovamente accusato. In questo caso l’accusa è di diffusione di notizie false circa un articolo pubblicato per il sito Daraj, nel 2019, che parlava della minoranza copta. Zaki rischia fino a cinque anni di galera con udienza prefissata al 7 dicembre 2021. Sembra andare tutto per il verso sbagliato, quando poi, lo stesso 7 dicembre all’udienza, dopo quasi due anni di reclusione, viene data comunicazione della scarcerazione di Zaki. La notizia si diffonde rapidamente su tutte le testate giornalistiche e l’8 dicembre 2021, il ragazzo viene liberato dal commissariato di Mansoura, ritrovando la libertà tra le braccia della famiglia. Una libertà negatagli da prima dell’inizio della pandemia proprio come il diritto allo studio, l’attivista egiziano, durante la sua prgionia, non ha avuto neanche la possibilità di riavere i suoi libri.
Tuttavia per Patrick Zaki questa è solo una breve pausa: l’1 febbraio 2022 dovrà ripresentarsi un’ulteriore volta davanti alla Corte, col rischio di esser stato scarcerato per poi essere nuovamente arrestato per le accuse mosse.
Un processo sostanzialmente fondato sul suo lavoro in favore dei diritti umani e sull’esposizione pubblica delle proprie opinioni politiche, discutendo di vere problematiche sociali che si vivono quotidianamente in determinante parti del mondo dicendo la verità, che purtroppo non è sempre ben accetta e così le persone come Patrick, che promuovono i diritti umani, ne devono pagare le conseguenze, ricevendo solo ingiustizie e delusioni. Motivazioni di un processo per noi incomprensibili, ma che, purtroppo, hanno segnato la vita di Patrick per sempre.
Carlo Martello, II Q