Mario Rigby, l’Africa a piedi

Wow, c’è davvero tanto nel mondo”, fu il pensiero che colpì Mario, ancora  ragazzo, dopo la sua prima esperienza in America centrale. Immensamente  affascinato da quella nuova realtà, decise di intraprendere un lungo viaggio  di due anni attraverso un continente tanto incantevole quanto misterioso: l’Africa. 

Mario era un atleta di atletica leggera, motivo per cui si trovava spesso a  viaggiare per le varie competizioni. Una gara che gli cambiò la vita fu quella a  San Salvador, nel continente americano, la quale gli fece guardare il mondo  con una nuova prospettiva e alimentò il suo desiderio di esplorare, lo stesso  che lo avrebbe poi portato alla traversata dell’Africa. 

Nel corso della sua incredibile odissea ha vissuto esperienze indimenticabili,  ma talvolta ardue. In un’intervista ha raccontato come fosse finito in  televisione a Mozambico durante un tratto abbastanza impegnativo e come  le persone del posto lo avessero riconosciuto, addirittura offrendogli un tetto  per la notte.  

I ricordi dei cieli stellati e della Via Lattea accompagnano ancora oggi il  giovane esploratore, ma insieme a essi ci sono immagini meno piacevoli. Ad  esempio, racconta Mario, una volta è stato aggredito da alcuni cani selvatici,  poi ha passato una notte in prigione ed è stato anche sparato dai soldati  ribelli. Tuttavia, “la più grande difficoltà è stata la solitudine”, lo dice lo stesso  Rigby, e ci basti pensare a immense lande desolate, niente persone nel  raggio di chilometri, solo se stesso a fargli compagnia.  

L’Etiopia ha, invece, rappresentato una delle avventure più estreme a causa  dei numerosi gruppi tribali:i Marsabit e i Dukana, per citarne alcuni. Inoltre, anche la geologia del posto non risparmia le sfide, infatti Mario si è  dovuto arrampicare sugli altissimi Monti Semièn, lungo la affascinante  Grande fossa tettonica, per poi dirigersi a Nord, verso uno dei luoghi più  caldi del mondo. Sempre in territorio etiope, il nostro esploratore ha  assaggiato il suo cibo preferito di tutto il viaggio, ovvero il pane injera, una  sorta di focaccia, accompagnato dalle tibs, delle salse locali. Con questa avventura, Mario Rigby ha avuto chiaro il cambiamento  fondamentale da attuare nella nostra società: colmare i divari. Dobbiamo  conoscere le altre culture, e per conoscere non si intende solo accettarle,  bensì celebrare le nostre differenze, quelle che ci rendono unici. Nel momento in cui riusciamo a condividere queste diversità, automaticamente  cominciamo a capirci a vicenda, il che è fondamentale, poiché se non si è  d’accordo, “qualsiasi cosa facciamo, è destinata al disastro”. Nel nostro piccolo, possiamo tutti dare una mano alla causa, possiamo tutti  essere esploratori e possiamo tutti essere un poco come Mario Rigby.  Colmiamo i divari.

Martina Aita, II Q