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Van Gogh:“Ho un terribile bisogno della religione. Allora esco di notte per dipingere le stelle”

Notte stellata, rappresenta uno degli ultimi ma più celebri e rinomati capolavori del grande artista Van Gogh; è anche grazie a questa opera se conosciamo lo stesso come uno degli artisti più importanti e principali della pittura europea dell’ ultima decade degli anni dell’ Ottocento, periodo dominato per quanto riguarda l’arte dalla corrente del Post-impressionismo; da questo momento in poi gli artisti non rappresentano ciò che vedono, non rappresentano le impressioni e nemmeno la realtà, ma solo le loro sensazioni, infatti Van Gogh non dipinse per essere ammirato, ma per una necessità interiore, l’impulso di dare un’immagine alla propria percezione del mondo. Van Gogh realizza Notte Stellata ricoverato nell’Istituto psichiatrico di Saint-Rémy, a causa della sua fragilità psicologica; qui poteva dipingere all’aperto, La “Notte stellata” rappresenta una veduta notturna sul villaggio di Arles di seguito abbiamo una sua citazione tratta da lettere inviate al fratello: “Ho un terribile bisogno della religione. Allora esco di notte per dipingere le stelle”.  

Tuttavia, non dobbiamo pensare però che la pazzia di Van Gogh lo portasse a dipingere di getto, è documentato infatti il suo studio accurato della composizione dell’opera. Era normale per lui preparare dei bozzetti e dei disegni preparatori, per verificare la composizione e quale dovesse essere il modo di stendere il colore. Anche i paesaggi, tanto amati e rappresentati dagli impressionisti, non hanno più il carattere di immediatezza e spontaneità dato dalle pennellate brevi e veloci. Ora le pennellate sono molto solide, quasi squadrate . Nella Notte Stellata Van Gogh pone al centro del dipinto una piccola chiesa che ricorda quelle olandesi del suo paese d’origine, sulla sinistra colloca in primo piano un cipresso, mentre il paesino e il cielo ondulato con le sfere luminose sembrano fondersi l’uno nell’altro, questo movimento ci dà l’impressione di essere travolti da un vortice, ci dona un forte senso di vertigine. Quello rappresentato come la stella più luminosa in questo cielo è il pianeta Venere che alla fine di maggio e ai primi di giugno dello stesso anno era effettivamente al massimo di luminosità, quindi, veramente Van Gogh ha osservato la realtà che aveva davanti per creare questo dipinto. Lo stesso pittore, paragona il dipinto alla sua vita tormentata e anche i colori che ha scelto servono a sottolineare le sue sensazioni.

“Il verde malachite che spezza il cuore o il verde più cupo delle terribili passioni dell’umanità” – Van Gogh

Il quadro non è tuttavia una fedele riproduzione del paesaggio che Van Gogh vede, ma è la rappresentazione di un mondo sensibile. La potente immaginazione dell’artista trasforma la scena in un evento cosmico: il cielo appare rischiarato da una moltitudine di comete, che girano vorticosamente creando una serie di gorghi luminosi. La tecnica e lo stile diventano così per Van Gogh il tramite dell’espressione e dei sentimenti. In questo caso l’autore esprime la sua sofferenza, l’incapacità di essere compreso e l’insoddisfazione. La presenza in primo piano del solitario cipresso, con la sua imponente sagoma scura che chiude la scena in primo piano, rivela una visione cupa e malinconica della vita. Inoltre l’artista posiziona la linea dell’orizzonte piuttosto in basso, per lasciare più spazio al cielo e quindi simbolicamente ai sentimenti. Tutto questo è evidenziato ancor più dalla pennellata corposa, impressa sulla tela con un’energia che proviene dal profondo dell’animo. E’ proprio questa forza compositiva ad indicare il travagliato rapporto dell’artista con la realtà del mondo e della vita. Nonostante la presenza di tonalità calde come il giallo e l’arancio che contribuiscono a rasserenare l’animo, il tratto che prevale è tortuoso, spezzato, ondulato, talvolta cupo, e rivela il tormento interiore dell’autore e la realtà trasfigurata all’interno della sua psiche. Il paesaggio di Van Gogh è quindi fisico, concreto, ma finisce con l’indurre l’osservatore a considerazioni sulla sua inquietudine esistenziale.

Diana Bernini