Rivoluzione digitale

Foto di Giulia Orazietti

Se c’è una lezione che abbiamo imparato negli ultimi anni, specialmente durante la pandemia, è che non possiamo più fare a meno della tecnologia. Quello a cui, però, dobbiamo forse ancora abituarci è il nuovo mondo che si plasmerà con le nuove tecnologie: non solo più internet, videochiamate, social network ma, nei prossimi anni (sarebbe corretto dire già in questi anni), cambierà completamente il modo in cui comunichiamo e ci relazioniamo, stravolgendo non solo i campi già “tecnologici”, ma anche e soprattutto ambiti apparentemente distanti e scollegati.

È giusto, quindi, parlare di rivoluzione, probabilmente. E infatti il 1° aprile, nel corso della ventitreesima edizione del Festival della Scienza, si è tenuta una tavola rotonda in diretta streaming dal titolo “Rivoluzione digitale”, per far conoscere e analizzare le modalità con cui alcuni dei tanti ambiti trasformati da questa rivoluzione si stanno evolvendo verso una veloce e progressiva digitalizzazione. A moderare la videoconferenza, mettendo in relazione e legando tra loro i disparati ambiti di lavoro dei relatori, è stato il professore Alessandro Vizzarri, docente del Dipartimento di Ingegneria dell’impresa dell’Università degli Studi Tor Vergata.

La prima ospite a intervenire è stata la dottoressa Giulia Bar, Industry Executive K12 di Microsoft, ovvero responsabile per il mondo scuola, musei e biblioteche all’interno del team Education di Microsoft. Il settore scuola, infatti, è stato uno dei più investiti durante la pandemia dalla necessità di digitalizzarsi e informatizzarsi e Microsoft ha offerto diversi servizi per le scuole, tra cui la nostra, in modo da continuare regolarmente la didattica già dopo pochissimi giorni dall’inizio del lockdown. La missione del mondo Education è offrire a ogni docente e a ogni studente la possibilità di ricavare il massimo dal mondo digitale, perché l’obiettivo della tecnologia non è sostituirsi al mondo fisico, ma potenziarlo, imparando nuove competenze rese necessarie da questa velocizzazione avvenuta negli ultimi mesi. Uno studio condotto da Microsoft insieme a Linkedin ha rivelato, infatti, che entro il 2030 saranno ben 145 milioni le nuove professioni che saranno create per far fronte alle nuove esigenze digitali, e quindi già a scuola bisogna fornire agli studenti l’opportunità di interiorizzare le nuove competenze richieste così da iniziare già a costruire un proprio ricco e variegato curriculum.

Foto di Giulia Orazietti

Nuove competenze saranno richieste anche in ambiti che non nascono come digitali, come ad esempio i beni culturali. A parlare del rapporto esistente tra beni culturali e ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) è stata la dottoressa Elisabetta Rotolo, founder e CEO del MIAT, Multiverse Institute for Arts and Technology, che si è in particolare focalizzata sul mondo delle tecnologie emergenti e immersive a livello internazionale come supporto per l’arte in tutte le sue forme. L’arte del futuro, infatti, vedrà sempre più la richiesta di persone capaci di fondere le abilità artistiche con competenze tecnologiche di alto livello e il MIAT è un’accademia hands-on, quindi con corsi pratici ed esperienziali, che forma proprio queste nuove figure del mondo dell’arte, come storyteller, filmmaker, produttori creativi ed esecutivi, motion designer, XR developer e tanti altri.

Non c’è, quindi, una perdita di interesse nei confronti dell’arte, anzi, quello che però è cambiato è il modo in cui ne fruiamo. Gli studi hanno mostrato come i millenials sono la generazione più interessata all’arte, con 4 ragazzi su 5 che dicono che è importante per loro, e questo si traduce in un’attenzione particolare al mondo del collezionismo d’arte: nel 2020 i millenials hanno speso in arte più di qualsiasi altra generazione, grazie a forme d’arte sempre più digitali, come ad esempio quelle create con le tecnologie XR (realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista), che sono più appetibili ed engaging.

Foto di Giulia Orazietti

Di conseguenza, a livello internazionale, moltissimi musei stanno riconvertendo la loro offerta e la loro modalità di fruizione con questi contenuti creati con le tecnologie emergenti, ridefinendo completamente il rapporto tra gli artisti e la comunità stessa, tra il pubblico e la città e contribuendo ad aumentare notevolmente anche il turismo e l’economia dei Paesi. 

L’arte ha poi lasciato lo spazio all’industria, con l’intervento del dottor Beniamino Tambelli, founder di TCM Group, azienda locale all’avanguardia, con sede a San Salvo, che realizza impianti di automazione industriale e robotica, soprattutto per la meccanica di precisione e per i cobot, i robot collaborativi. Anche l’industria, per quanto già da secoli meccanicizzata, si è dovuta adattare alla rivoluzione digitale e deve continuamente aggiornarsi ed evolversi, ripensando completamente le modalità del passato, fino ad arrivare a un’industria 4.0, quindi digitale e digitalizzata, anche ad esempio nella manutenzione, con attrezzatura smart e assistenza remota.

La robotica non riguarda solo l’industria, ma si sta espandendo e in un campo in particolare è ormai parte integrante e fondamentale, la chirurgia: la robotica, infatti, è entrata anche in sala operatoria. Su questo argomento è intervenuto il dottor Valerio Caracino, responsabile dell’unità chirurgica robotica e mininvasiva dell’ospedale civile Santo Spirito di Pescara, specializzato in chirurgia addominale. Il dottore ha sottolineato come la medicina, e in particolare la chirurgia, specialmente oggi necessitano di un aggiornamento continuo, perché il progresso avviene a una velocità talmente alta che quello che era valido l’anno passato non lo è più oggi. La chirurgia addominale è cambiata totalmente: quando il dottore iniziò il suo percorso i pazienti subivano interventi molto invasivi con degenze operatorie molto lunghe. Negli ultimi venti anni, invece, con la laparoscopia e i robot, è possibile, anche a livello oncologico, fare operazioni chirurgiche senza incisioni, attraverso dei piccoli accessi di 5-8 mm che permettono di svolgere gli stessi interventi con un impatto traumatico e psicologico minimo.

Operazioni che grazie ai robot avvengono anche a distanza, con la manipolazione con joystick simili a quelli dei videogiochi, per cui i gamer abituali sono avvantaggiati. Questo porta, inevitabilmente, a riflettere su quello che sarà il ruolo del chirurgo in futuro: un conoscitore dell’anatomia umana o un bioingegnere, un informatico? Tutti e due, probabilmente. Bisognerà avere conoscenze di sempre più settori, non rimanendo vincolati alla propria zona di comfort, dicendo “si è sempre fatto così”, perché l’obiettivo della medicina è quello di migliorare la vita dei pazienti. Le nuove tecnologie, quindi, devono essere un mezzo per diffondere un bene che deve essere appannaggio di tutti, superando le differenze abissali di trattamento sanitario nel mondo, dove una parte ha accesso a tecniche all’avanguardia e un’altra grande parte (un terzo della popolazione mondiale) non ha neanche accesso alla sanità di base oppure ha a disposizione ospedali senza TAC, risonanza e altri dispositivi fondamentali.

La robotica come strumento per la medicina è stato anche il fulcro degli interventi degli ingegneri Daniele Cafolla e Luigi Pavone dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli, in Molise. L’ingegner Cafolla, responsabile del laboratorio di biomeccatronica, ha spiegato il ruolo della tecnologia nel realizzare dispositivi ad hoc che permettono di sostituire strumenti più lenti con altri innovativi e rivoluzionari. Ad esempio, è possibile ricostruire uno scheletro virtuale in modo veloce con dei marker posizionati in diversi punti del corpo (la stessa tecnica utilizzata anche nel cinema per le animazioni dei personaggi come Gollum de Il Signore degli Anelli), oppure si possono personalizzare le cure, acquisendo i dati biometrici del paziente per poter sviluppare degli algoritmi che creino protesi e dispositivi personalizzati.

Innovazioni che sono risultate importantissime anche durante la pandemia, quando ad esempio non potevano essere svolte visite terapeutiche di riabilitazione. Gli ingegneri hanno quindi sviluppato un sistema che, tramite le immagini ottenute dalle webcam dei pazienti che svolgevano gli esercizi di riabilitazione a casa, analizzava i movimenti per far capire ai terapisti se si stavano svolgendo correttamente e se stavano avendo un impatto positivo. Sempre durante la pandemia, tra febbraio e marzo 2020, sono stati sviluppati dei droni che inviavano in modo rapido i tamponi direttamente a casa.

L’ingegner Pavone, responsabile dell’unità di bioingegneria clinica, ha riportato diversi ulteriori esempi di utilizzo delle nuove tecnologie nella medicina. Un campo di ricerca del Neuromed è la risonanza magnetica funzionale, che serve per mappare l’attività cerebrale dei pazienti in risposta all’esecuzione di alcuni task svolti all’interno dello scanner per monitorare alcune aree del cervello relative soprattutto al movimento e al linguaggio per capire se ad esempio la lesione tumorale interessa queste zone. Inoltre, sono state sviluppate tecniche di neuroimaging che permettono di localizzare gli elettrodi di alcuni pazienti relativamente ad alcune malattie come l’epilessia e il morbo di Parkinson.

Il ricco incontro è poi stato concluso, prima di un consiglio dato da ogni relatore ai ragazzi all’ascolto sulle skill che più saranno necessarie in futuro, dal dottor Davide Totaro, data scientist per Tubi TV. Totaro ha innanzitutto spiegato cos’è e cosa fa un data scientist, una professione piuttosto recente (basta pensare che esiste da meno di venti anni), ma che sta avendo e avrà ancora di più in futuro un’esplosione: nasce come fusione di statistica e informatica e ha il compito di analizzare i dati. I dati, infatti, sono il nuovo petrolio e così come il petrolio è grezzo, allo stesso modo i dati vanno prima immagazzinati ed elaborati per poter essere capiti e utilizzati. E i dati sono quanto mai importanti, in quanto ogni anno vengono create più informazioni che nel resto della storia dell’umanità e c’è bisogno di persone che sappiano ben interpretarli. I dati sono fondamentali per le aziende di intrattenimento e per i social network, soprattutto, e Totaro ha riportato l’esempio di Netflix, che fa indagini sui suoi utenti, ad esempio sulle copertine delle serie tv.

Ogni utente, ogni volta che entra sull’app, è parte dell’esperimento A/B: a una metà delle persone viene mostrata una copertina, all’altra metà una seconda, per vedere alla fine quali tipologie hanno più successo (attori famosi in copertina, protagonisti e antagonisti, ecc…). Tutto questo accade per ogni azione che facciamo sul web e non solo (basta pensare, ad esempio, alle statistiche per gli sport) e quindi, tra le tantissime nuove professioni riportate nel corso dell’evento, c’è anche saper correttamente analizzare i dati e poi successivamente condividere i risultati ottenuti.

Simone Di Minni