La guerra di Putin, di tutti e di nessuno

Prima di parlare del conflitto Ucraino-Russo, è doveroso fare una  considerazione e una valutazione sui dati storici e politici, alla base di  questa guerra. Ritornare indietro di pochi anni non può spiegare le vere motivazioni  che covano da altrettante centinaia d’anni e che hanno fatto dell’Ucraina il teatro di  molte tensioni e conflitti, i quali sono il prodromo dell’attuale crisi. Guardando alla  genesi di questo popolo, nell’attuale territorio, gli ucraini sono i discendenti di  parecchi popoli che hanno vissuto in passato in vaste aree dell’Europa orientale, dal  Mar Nero fino ai confini di Russia, Polonia, Moldavia, Bielorussia e Slovacchia. Questi popoli includono numerose tribù nomadi, come quelle iraniche degli Sciti e dei  Sarmati. Gli ucraini sono in maggior parte discendenti dai popoli slavi orientali  stanziati nelle steppe del sud. La lingua ucraina è una lingua slava dell’est e gli ucraini  appartengono alla stessa suddivisione slava dei russi e dei bielorussi.  

L’Ucraina ha una storia abbastanza turbolenta, fatto questo che si spiega con la sua  posizione strategica. Fino al XV secolo, gli ucraini facevano parte del vecchio blocco  slavo di cui erano discendenti anche i bielorussi e i russi. In seguito, comunque,  periodi di separazioni etniche e di influenze straniere hanno notevolmente  contribuito a rendere meno omogenea l’identità etno-linguistica ucraina. 

La storia di uno stato indipendente ucraino è cominciata con i Cosacchi. I cosacchi di  Zaporižžja, sin dal XV secolo, controllavano le zone a ridosso del fiume Dnipro, tra  Russia, Polonia e Crimea, con la loro capitale fortificata, Zaporizhian Sich. Furono  formalmente riconosciuti come stato da un trattato con la Polonia, nel 1649. La  moderna identità nazionale ucraina si sviluppò in opposizione alle dominazioni  straniere durante il XIX secolo. Durante l’Impero russo, l’uso della lingua ucraina fu  scoraggiato nelle scuole e nei centri istituzionali, anche se questo provvedimento  ebbe poco effetto perché molti ucraini, all’epoca, erano analfabeti. La politica  persecutoria verso gli ucraini fu più marcata in Polonia e nell’Impero austro-ungarico.  Durante l’era sovietica, infine, la lingua ucraina fu tollerata in alcune zone e  soppressa in altre. 

L’Ucraina originariamente faceva parte del Granducato di Lituania e della  Confederazione polacco-lituana, in seguito dell’Impero russo, dell’Impero ottomano  e dell’Impero austro-ungarico. In seguito fu annessa alla Seconda Repubblica di  Polonia e poi all’Unione Sovietica. Il 24 agosto 1991 raggiunse, infine, la propria  indipendenza.

Gli ucraini sono uno dei maggiori gruppi etnici d’Europa. L’Ucraina ha una  popolazione di circa 47 milioni di persone in prevalenza di etnia ucraina. Inoltre,  circa tre milioni di cittadini russi si considerano ucraini.  

Alla luce di quanto detto, si evince che l’Ucraina ha forti rapporti culturali e sociali,  nonché storici, con la Russia che le fa guerra, rendendo ancora più scandaloso  questo processo bellico che, ancora ad oggi, non si è compreso a quali mire punti e  quali possano essere i veri obiettivi finali della prepotenza di Vladimir Putin.  L’annessione al contesto Russo risale alla volontà di Lenin, che volle annettere il  territorio ucraino onde creare un vasto consenso e corpo strutturale del comunismo  sovietico nascente. I confini fissati da Lenin nella creazione dell’Unione delle  Repubbliche socialiste sovietiche, comprendevano tra i tanti territori anche  l’Ucraina. Nacque da qui una vera e propria finzione burocratica, che si volle  risolvere affidandola addirittura a Stalin, cioè di come si potesse giustificare il  problema per cui la Russia comunista riuscisse a liberarsi della contraddizione nel  prendere il posto di un Impero. Come si potesse proclamare la rivoluzione e il  sovvertimento del vecchio ordine sociale, senza lasciare ai popoli, che quell’Impero  ha colonizzato e conquistato, la loro libertà e autodeterminazione, fu facilmente  ricondotto ad una politica propagandistica e repressiva che candidava la Russia  salvatrice e dettante condizioni repressive, per il bene di una democrazia che  cambiava nome, opponeva concetti fondanti la libertà e la giustizia, ma non  cambiava metodologie d’intervento e metodi repressivi, tutto in nome di una giusta  causa che forse ma ci fu. 

Rivendicazione che decadde all’indomani della disgregazione del colosso sovietico,  tempi in cui Putin muoveva leggeri e indecifrabili passi tra le file del KGB. La Russia  sovietica aveva ormai abbandonato l’idea di un potentato militare ed economico,  egemone ed autarchico, e da tempo era entrata nel contesto del mercato mondiale  con le sue produzioni e, soprattutto, sotto il controllo di una elite oligarchica che  stona a dir poco con il contesto popolare, poco avvezzo ai lussi sfrenati dei predetti e  costretti ad una vita per niente comoda, anche alla luce dei nuovi eventi economici  del paese. Perché Putin allora, e una sequela dello stesso in una tale follia, abbiano  avuto il sopravvento lo si può ricondurre ad una politica di propaganda e di radicale  nazionalismo, che in realtà mai si è sopito nelle idee del popolo russo che vede negli  uomini di polso le figure chiave per una politica di benessere e di rispetto, che gli  stessi rivendicano per la loro nazione. Facile è capire che l’Ucraina è un territorio che  si frappone tra tante nazioni e garantisce produzioni indispensabili ai popoli limitrofi ed anche appartenenti al blocco occidentale, produzione del grano fra tutte. 

Strategica in passato come oggi, l’Ucraina è allettante obiettivo che Putin rivendica  anche in virtù delle dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky, per la volontà di  aderire alla NATO ed alla stessa UE. Avere il blocco occidentale alle porte è per il  despota russo motivo di timore della perdita di egemonia e controllo, dimenticando  che coloro i quali teme sono i suoi clienti più assidui e conferenti ricchezza. Un  particolare che sfugge alle sue considerazioni soprattutto quando il ricatto di  sospendere i rifornimenti di energia ha dato esito a lui sfavorevole, allorquando l’UE  ha deciso di porre una serie di provvedimenti in embargo alla Russia e una serie di  predisposizioni in prospettiva futura che allontaneranno il mercato europeo dalle  forniture russe. Come farà Putin dopo questa guerra a riproporsi all’Europa evoluta e  ricca è cosa di difficile comprensione, come lo è il senso di una guerra lampo che  lampo non è stata; come il comprendere il come abbia potuto pensare di disgregare  le potenze europee con le sue minacce ed oggi l’Europa è più unita nell’embargo  quanto nella fornitura di armi all’Ucraina, quanto, ancora, nella consapevolezza di  rinsaldare i rapporti ancor più di quanto non abbia mai fatto prima. Putin, inoltre,  non ha tenuto conto della forza e della preparazione delle truppe ucraine quanto  della popolazione stessa e di come, assieme e coraggiosamente, abbiano affrontato  un conflitto, nonchè di come stiano oggi, dopo non poche pene e forti perdite  umane e materiali, rintuzzando colpo a colpo l’avanzata russa.  

La strategia putiniana è stata quella della minaccia reiterata e spudorata, della  menzogna asservita a strategie recondite che si palesavano di lì a poco, non ultima  quella di dichiarare allentata la presa su Kiev affermando di ritirare le truppe in  assedio, per poi scoprire si trattasse di una manovra di passaggio di consegne dei  reparti in operazione. Persino i trattati si ammantano di continue affermazioni e  smentite, di offese e ripieghi, ma la cosa che si evince è che Putin sa di giocare  malissimo le sue carte e di aver sopravvalutato le sue forze e sottovalutato quelle  altrui. A lungo andare questa morsa si spegnerà e se non si prenderanno accordi  immediati di un cessate il fuoco, la Russia rischia di pagare un costo altrettanto caro  a quello ucraino, con l’unica differenza di averlo scelto quell’esito.  

Rimane, in tutto questo, lo sforzo di un popolo ed il suo grido di disperazione che  rivendica il diritto di autonomia e libertà, di riproporre una storia di millenni tra  decine di dominazioni che l’hanno sempre incastrata nelle morse della guerra. Un  popolo, quello ucraino, che oggi chiede giustizia e pace e non saranno la Crimea o il  Donbass le contropartite necessarie a cancellare un tale crimine umano, perché gli  stessi ucraini cosiddetti russofoni oggi non sono per niente convinti che l’autonomia  per una futura annessione russa possa essere sintomo di progresso. Oggi rimangono gli scenari di sangue ed i teatri di guerra che chiedono a gran voce il diritto d’essere  soppressi, in favore di un dialogo che non tenga conto della guerra per vivificarne  altre, ma che parli in virtù di una convivenza che sia pacifica e nell’interesse di tutti.

Luise Viviana, II Q