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Vincenzo Musacchio: il rispetto e il ricordo delle vittime di mafia deve essere praticato quotidianamente.

 

Sono passati trent’anni da quando per la prima volta parlai di mafia in una scuola con Antonino Caponnetto. Era il 19 febbraio del 1992. Tanto sacrificio e tanto lavoro sempre senza il sostegno e la difesa della politica dominante. Quel 23 maggio a Capaci e il 19 luglio in via D’Amelio hanno segnato la mia esistenza. 

di Lucia De Sanctis

Quali sono i suoi stati d’animo dopo trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio?

La mia rabbia di allora è rimasta immutata oggi. Mi infastidisce l’attuale inerzia delle istituzioni e della società civile nella lotta alle mafie. Abbiamo permesso, tutti noi, nessuno escluso, che la mafia assassinasse le migliori forze dello Stato abbandonandole al loro destino. La mafia massacrava gli onesti e coloro che nutrivano un forte senso del dovere verso le istituzioni democratiche. Nonostante questa carneficina, allora c’era una reazione, c’era l’opportunità di lottare per una giusta causa. In quell’orrendo scenario che puzzava di morte, avevamo bravi magistrati, bravi poliziotti, c’erano bravi giornalisti e anche bravi politici. Oggi non vedo più alcuna reazione. Tutto tace. Credo di essermi impegnato con tutte le mie forze materiali e morali, con passione e dedizione, per lottare la mafia e la mentalità mafiosa. Mi sento troppo spesso solo.  

Lo scenario che descrive attualmente è cambiato?

Oggi vedo corruzione e mafie nella politica, nell’economia, nella finanza. Ricordo un Sindaco bravo, Giuseppe Insalaco, che in tanti hanno dimenticato che con coraggio provò ad erigere un baluardo contro la mafia imprenditrice che stava nascendo. Le cose non sono cambiate, purtroppo, sono notevolmente peggiorate. La mafia si nasconde sotto mentite spoglie, non ha più la lupara, non è più feroce come quella di Riina che voleva annientare chiunque si opponesse alla sua potenza. Oggi la mafia è altrove, è dentro le istituzioni pubbliche, controlla gli appalti, si arricchisce con il traffico di droga e gestisce pezzi di economia. La cosa peggiore è l’assenza di dissenso a tutto questo marciume. La gente sembra dormiente, il popolo non reagisce. Mancano politiche sociali per i più giovani. La scenario non è dei migliori.

Qual è secondo lei il valore di queste commemorazioni?

Le ricorrenze servono a poco se nella sostanza sono passerelle anche per coloro che in vita non erano certo amici di Falcone o di Borsellino. Lo Stato ricordandoli una tantum non può andare esente da responsabilità, oggi come allora. Falcone e Borsellino hanno lottato per noi, con altissimo senso del dovere, eppure furono isolati e attaccati anche dai loro colleghi. Erano persone da assumere come esempi. Non sono ricordati abbastanza, al di là delle sterili commemorazioni annuali. Il loro ricordo deve essere praticato quotidianamente soprattutto verso le nuove generazioni.

Perché tante persone sono morte?

In un certo senso ce lo dice Giovanni Falcone: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”. E’ ora che questo Stato ci difenda. Noi cittadini dobbiamo ritrovare la forza di ripudiare le mafie e di pretendere che lo Stato faccia a pieno il suo dovere. Il silenzio è mafia! C’è un concetto, una delle tante frasi, di Rita Atria che purtroppo è utile doverlo ribadire ancora dopo trent’anni. Per lungo tempo abbiamo confuso mafia e mafiosità. La mafia è organizzazione criminale, la mafiosità è un modo di essere. Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un mafioso. Fare memoria, quindi, è anche cercare di abbattere questa mentalità.

Chiudiamo con un messaggio rivolto ai giovani?

Il loro contributo diretto nella lotta contro le mafie sarà determinante. I nostri giovani vinceranno la lotta alle mafie se faranno il loro dovere quanto svolgeranno una attività lavorativa, se si interesseranno della pubblica amministrazione, se parteciperanno attivamente alla vita politica del proprio territorio. I nostri giovani dovranno fare la loro parte quando saranno componenti delle forze dell’ordine, della magistratura, del giornalismo. Se non si faranno corrompere e svolgeranno bene la loro funzione la lotta alle mafie sarà vinta. 

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.