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Mein Herz in Flammen- Diario di un Erasmus di 40 giorni in Germania

“Alexander Platz, auf Wiedersehen!”, cantava Milva nel 1982, e la sua voce risuona nelle mie orecchie mentre dal finestrino del treno, diretto verso l’aeroporto, vedo scorrere davanti ai miei occhi, veloce, quasi un fotogramma, la torre della televisione di Berlino, simbolo di Alexanderplatz e dell’intera città. “Arrivederci, Berlino”, penso, e la mia mente ritorna alla settimana scorsa, quando ho visitato questa città per la prima volta e me ne sono innamorato, camminando per le sue strade impregnate di storia, con gli occhi rivolti al cielo per ammirare monumenti ed edifici o talvolta con il capo chino e gli occhi lucidi, come nel camminare nel Memory Void del Museo Ebraico. 

“Hai le borse sotto gli occhi…”, continua la canzone, e io sorrido: ho dormito solo quattro ore, ho camminato per Berlino per altrettante, mi aspetta un volo e un viaggio in autobus; sono lontano da casa da quaranta giorni, quarantatré, per la precisione. Sì, credo che ora, con la mascherina, chiunque mi guardi possa vedere solo le borse sotto gli occhi, ma non può vedere, o meglio, sentire, il mio cuore, adesso al tempo stesso pesante (stamattina ho salutato la mia famiglia ospitante e tra poche ore lascerò la Germania) e leggero (ce l’ho fatta!), così felice e soddisfatto e grato di aver avuto la possibilità di trascorrere sei settimane in Erasmus in Germania; settimane che ora iniziano a susseguirsi nella mia mente come il paesaggio scorre davanti ai miei occhi, da una parte del finestrino una carrellata di ricordi, di memorie, di emozioni, dall’altra un fluire di alberi e di colori stemperati dalla nebbia e dalla velocità del treno.

“Ti piace Schubert?”, conclude Milva, e sulle note del pianoforte che seguono e che poi si dissolvono in un’altra canzone, ripenso alle ore passate ad ascoltare le mie sorelle ospitanti suonare il pianoforte, il violino, il flauto, che tanto conforto e serenità mi hanno trasmesso, e alla notte passata insonne per scrivere la lettera di commiato alla mia host family, durante la quale, tra le altre, erano proprio le note della Fantasia Wanderer di Schubert a farmi compagnia e ad aiutarmi a ricordare i momenti passati insieme in Germania. Forse dovrei ascoltarla anche adesso… Le note partono, e così anche la mia mente. 

È il 18 settembre e sto partendo per la Germania, insieme ad altri sette ragazzi del Polo Liceale Mattioli e alle professoresse Orsatti e Santangelo. La valigia è stracolma – come la trascino per scale, marciapiedi e corridoi, tra aeroporti e stazioni, mi sembra possa esplodere da un momento all’altro -, e così sono io, stracolmo di aspettative, di voglia di mettermi in gioco, di desiderio di nuove esperienze. Arriviamo a Neumünster, nello Schleswig-Holstein, il Land più a nord della Germania, a un’ora da Amburgo e dal confine con la Danimarca: sarà la mia casa per le prossime settimane. Camminiamo davanti al Teich, il laghetto che costeggerò ogni giorno per andare a studiare in biblioteca; attraversiamo Rencks Park, il parco in cui mi riposerò tra una lezione e un’altra, sotto gli alberi che di giorno in giorno si arrosseranno sempre di più fino a tinteggiare di colori autunnali con le loro foglie i sentieri calpestati da centinaia di studenti; visitiamo per la prima volta la Klaus-Groth-Schule, la scuola in cui seguirò le lezioni, in cui avrò nuovi professori, nuovi compagni, nuovi metodi, nuovi orari. 

La prima settimana, quella dell’Erasmus+ EACiti, la più semplice da affrontare, perché ho al mio fianco visi familiari o, seppur nuovi, amici, vola via in un batter d’occhio, tra workshop, uscite e falò; ma è in questa settimana che stringo amicizia con i ragazzi tedeschi (oltre che con quelli romeni e estoni), che prendo conoscenza dei corridoi della scuola, delle vie della città. È una settimana bellissima e intensa, ma presto mi ritrovo, il sabato, a passare dalla comodità di un hotel all’incertezza e all’imbarazzo di vivere in una casa non mia, con una famiglia che non conosco e di cui so l’esistenza soltanto da due giorni. La notte prima della conoscenza della mia host family è un continuo pensare, immaginare, presupporre, ipotizzare. “E se non mi trovo bene? E se la famiglia non mi piace? Ma soprattutto, se io non piaccio a loro?” Ma la notte lascia presto spazio alla mattina, e dopo i saluti ai compagni italiani e alle professoresse, arriva finalmente il momento. Chissà cosa avranno pensato di me quando mi sono presentato nella hall dell’hotel con dieci minuti di ritardo (ma sfoggiando il mio miglior (imbarazzato) sorriso)! Per fortuna le paranoie notturne si sono dimostrate, appunto, soltanto paranoie, perché della mia host family mi sono innamorato a prima vista e, per tutte e cinque le settimane che ho passato con loro, sono stati il motivo per cui il mio Erasmus in Germania è stato così unico e indimenticabile.  

Quattro figli, un maschio e tre femmine, e due genitori sono abbastanza per far sì che una famiglia sia detta numerosa. Con un ragazzo in più in casa, quando eravamo in giro e la gente vedeva camminare in mandria sette persone, credo che i genitori abbiano ricevuto diversi sguardi di stupore e compassione. Eppure, vivere con una famiglia numerosa è stato per me un arricchimento: ho instaurato un rapporto diverso ma in ogni modo significativo con ognuno dei quattro host siblings, ho fatto amicizia con i due fratelli più grandi e giocato e scherzato con quelle più piccole, e ho parlato a lungo, anche confidandomi (e viceversa) e aprendomi, con i genitori; ho trovato un ambiente accogliente e confortevole, mi sono sentito a casa. E soprattutto, grazie a loro, ho avuto l’opportunità di visitare lo Schleswig-Holstein in lungo e in largo e non solo.

Sono passato dai paesaggi cinematografici del Mare del Nord e del Mar Baltico alle spiagge selvagge e incontaminate dell’isola di Sylt; ho ammirato castelli su castelli, da quello di Schwerin, imponente, maestoso e mozzafiato, con i suoi giardini curati ed eleganti e l’orangerie uscita direttamente da un film di una principessa Disney, alle tenute imperiali di Plön e Glücksburg, con il loro caratteristico bianco, fino al meraviglioso castello di Gottorf, a Schleswig, con all’interno il ritrovamento di due navi vichinghe integre e una collezione d’arte e di mobilio imponente; ho visitato tre città tra loro uniche: Lubecca, che con il suo centro storico patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, mi è entrata nel cuore per i suoi colori, per i suoi caratteristici palazzi, per la sua storia di città anseatica, per le sue sette torri che svettano nel panorama cittadino, e per il suo grande legame con la letteratura, essendo città natale di Thomas Mann, la cui casa, fonte d’ispirazione per il suo romanzo più celebre, I Buddenbrook, si trova proprio qui; Amburgo, la città industriale, con il terzo porto più grande d’Europa, con i suoi caratteristici edifici in mattoni rossi e con il suo centro storico elegante e sicuramente vivo e vibrante, l’ho apprezzata per l’Hamburger Kunsthalle, la galleria d’arte che conserva al suo interno il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich, in cui ho trascorso quasi sei ore per la quantità e la qualità di opere d’arte che riscaldano il cuore e curano la mente; e infine Berlino, la città in cui più di tutte si può percepire la sua storia recente, ancora vivida ed evidente, ma che al tempo stesso, con il suo numero enorme di musei, è depositaria della cultura, dell’arte e della storia antica: mi sono perso tra i reperti del Pergamon Museum, con la porta babilonese di Ishtar e la porta di Mileto, mi sono emozionato camminando nel Memoriale per gli ebrei assassinati e nel Museo Ebraico, mi è sembrato di testimoniare la storia osservando i graffiti sul muro nell’East Side Gallery e di partecipare alla vita politica tedesca visitando la cupola di vetro del Reichstag, da cui è possibile osservare le riunioni del parlamento, perché la democrazia è trasparente.  

Tuttavia, l’arricchimento dell’Erasmus non è arrivato solo dai (numerosi) viaggi, ma anche dallo sperimentare un sistema educativo tanto diverso dal nostro quanto, proprio per questo, affascinante e interessante da scoprire (una scoperta ovviamente in tedesco, che se all’inizio sembrava martellante e incomprensibile, con il passare dei giorni è iniziato a diventare più chiaro e distinguibile). Innanzitutto, il modo di fare lezione, molto meno frontale e più induttivo: gli studenti tedeschi hanno sempre la mano alzata (anche perché le interrogazioni orali sono rare, e quindi, oltre ai Klausuren, i test scritti, buona parte del voto finale è data dalla partecipazione in classe) e viene richiesto loro di proporre ipotesi, di porre tante domande, di giungere alla conclusione prima che ci arrivi il professore. Fisica, chimica e biologia solo in laboratorio, il latino una lingua viva, molta più filosofia (intesa come discussione) che storia della filosofia, arte o musica obbligatorie per tutti, – “perché sono necessarie anche ore di creatività”, mi hanno detto i miei compagni tedeschi, – e in più studiano geografia fino all’ultimo anno, trattando di temi attuali come immigrazione, discriminazioni e climate change. E poi una vita scolastica (nel bene e nel male) molto da high school dei film americani, con molta libertà nella scelta dei piani di studio, i tanto desiderati armadietti, orari flessibili spesso fino a metà pomeriggio e lo spostamento da un’aula all’altra tra le lezioni (che durano 45 minuti, con conseguente pausa tra l’una e l’altra di 10/15/30 minuti). 

Come flash, lampeggiano nella mia mente le escursioni in canoa, gli interminabili giri in bicicletta tra gli alberi, le feste con i ragazzi tedeschi, i balli, le serate a guardare film. Sono sull’aereo adesso, e dal mio posto centrale riesco solo a intravedere, mentre decolliamo, la terra che si fa sempre più lontana, fino a scomparire sotto le nuvole. L’Erasmus+ mi ha dato tanto, la Germania mi ha dato tanto. Metto play alla playlist di canzoni tedesche che ho creato unendo i suggerimenti delle persone che ho incontrato. “Deutschland! Mein Herz in Flammen, will dich lieben und verdammen!”, canta Till Lindemann dei Rammstein. Sì, Germania, anche il mio cuore adesso è in fiamme, e come ora ti saluto, ti dico anche io che ti ho amato e maledetto: a volte sei stata dura, mi hai fortificato e temprato, ma in così poco tempo, mi hai anche fatto vivere esperienze che non avrei mai immaginato e mi hai regalato ricordi che rimarranno sempre con me. 

Simone Di Minni