Che fine ha fatto Greta Thunberg?

Dopo essere stata protagonista nella denuncia dei cambiamenti climatici, Greta Thunberg è sparita dalle scene internazionali. Di lei si sono perse le tracce dato che giornali, tv e altri servizi di informazione non ne parlano più. Verrebbe da dire “Chi l’ha vista?”, poiché le sue ultime apparizioni di rilievo risalgono alla fine dello scorso anno.

Per mesi e mesi ha fatto parlare di se grazie alle animate battaglie e posizioni. Migliaia di manifestazioni si sono svolte in tutto il mondo per sostenere quanto detto da una semplice ragazza che, nel giro di poco tempo, ha attirato l’ attenzione della popolazione mondiale su un tema così importante come quello del cambiamento climatico, troppo e spesso trascurato dai potenti della Terra.

Possiamo ancora definirla “paladina” di questo movimento? Credo proprio di no. Nonostante sia riuscita a mobilitare migliaia di persone ogni venerdì, in tutte le piazze del mondo, le sue parole non hanno sortito i risultati sperati. Sono dunque solo un ricordo le sue minacce alla classe politica dei paesi industrializzati, la rabbia mostrata al vertice Onu con la celebre frase “Mi avete rubato l’infanzia!”?

Sembra che sia stato tutto inutile, dato che da tempo non circolano così tanto spesso notizie riguardo il cambiamento climatico. Causa della guerra in Ucraina? Probabilmente. Quello di cui nessuno parla è che le potenze mondiali, sostenitrici delle sue tesi, durante questo periodo di recessione economica, si sono ritrovate a snobbare le sue parole. Che fine hanno fatto tutte le promesse dell’Europa, degli Usa, di Cina e India sul contrasto ai cambiamenti climatici? Sono sparite nel dimenticatoio. Ciò di cui non si vuole più parlare viene oscurato dalla politica e dai media. Speriamo nella Cop 27, la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, iniziata lo scorso 6 novembre. Obiettivo: dare finalmente attuazione concreta all’ Accordo di Parigi (un documento sottoscritto dai 195 paesi che hanno partecipato alla Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite nel mese di dicembre del 2015) e agli impegni della comunità internazionale in materia climatica.

La figura della Thunberg, da molti venerata come la nuova “profetessa”, sembra ora essere solo un soggetto di passaggio. Molti studiosi e ricercatori, che hanno passato la vita a osservare i fenomeni dei cambiamenti climatici, si sono visti sorpassare da una ragazzina, resa importante grazie all’interesse mediatico che si è creato intorno a lei. Anche se la sua battaglia è giusta, il suo fine è lo stesso di quello che si ponevano gli ambientalisti prima di lei: quello di porre un limite a questi fenomeni che stanno mettendo a rischio l’esistenza stessa del nostro pianeta.

Ma a cosa è dovuta la sua popolarità? Sicuramente alla riprova sociale. Da quando è stato creato il suo movimento “Fridays for Future”, molti ragazzi hanno aderito al suo programma e alle sue manifestazioni. Non tutti, però, sono veramente interessati a salvaguardare il pianeta, visto che la maggioranza dei suoi seguaci non ha proprio uno stile di vita ambientalista ma piuttosto consumista. La tendenza a considerare maggiormente adeguata un’azione quando la compiono anche gli altri è stata la premessa che ha portato i ragazzi a seguire Greta Thunberg e, di conseguenza, il suo movimento. Gli studiosi del fenomeno hanno affermato come questa sua immagine studiata molto attentamente a tavolino non possa essere considerata la bandiera di una “rivoluzione”, visto che il suo unico obiettivo è stato quello di vendere una confezione e non il prodotto. A differenza di altri giovani che si sono impegnati veramente nel cercare possibili soluzioni alla crisi climatica, come Elif Bilgin, Ciara Judge, Hayley Tedesco, vincitrici del premio Google Science Fair, Thunberg si è limitata solamente a denunciare un problema che già tutti conoscevano.

Forse bisognerebbe accettare come il nostro sistema economico e il nostro stile di vita si scontrino con le politiche ambientaliste: una società globale fondata sullo sfruttamento delle risorse naturali, della forza-lavoro e della ricerca di “natura a buon mercato” non potrà mai condividere di preservare il nostro pianeta.  Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

Fino a quando considereremo la crescita economica in base al PIL, dovremo fare i conti con il caos climatico, la distruzione della biosfera, l’esaurimento delle risorse, l’estinzione di massa.

 

Gianmaria Ausanio