Curiose leggende d’Abruzzo

L’ Abruzzo custodisce storie, tramandate di generazione in generazione, che danno origine a curiose leggende. Protagonisti sono uomini, gnomi, streghe, draghi, che rendono magica la regione più verde d’Italia.

La leggenda di San Panfilo

Una delle leggende più famose d’Abruzzo è legata alla storia di San Panfilo, santo protettore della cittadina di Sulmona.

La leggenda narra che  in giovane età rischiò la vita a causa di suo padre. Infatti, a quei tempi (siamo tra il 600 e il 700 d.C.) il Cristianesimo era poco diffuso e Panfilo, dopo essersi convertito a questa religione, entrò in contrasto con il padre che respinse la sua scelta.

Il padre, un pagano convinto, non solo lo ripudiò ma architettò contro suo figlio un diabolico piano: ucciderlo simulando un tragico incidente. Obbligò Panfilo a salire su di un carro trainato da buoi nella zona più impervia della montagna attraverso una strada ripida e scoscesa. Difficilmente il ragazzo si sarebbe salvato. Ma apparvero alcuni angeli ad aiutarlo e gli zoccoli dei buoi e le ruote del carro, anziché scivolare e precipitare, affondarono nel terreno conducendolo a valle lentamente. I segni sono ancora visibili, simbolo e testimonianza del miracolo ricevuto.

Arrivato in paese, tutti si meravigliarono dell’accaduto e acclamarono Panfilo scegliendolo come guida della locale diocesi. Divenne sacerdote e vescovo, devoto alla fede fino a quando morì alla fine del 700 a Corfinio.

La leggenda di Maja

Altra  famosa leggenda è quella legata alla  Majella, la montagna Madre.

Maja era una bellissima fanciulla, la più bella delle Pleiadi, ninfe celesti e dei monti . La leggenda narra che la fanciulla fuggì dalla Frigia, regione dell’Anatolia centrale, per portare via suo figlio Ermete (nato da una relazione con Zeus) rimasto ferito in battaglia. Decise di fuggire attraversando il mare, su di una zattera, e sbarcare presso il porto di Ortona.

Il gigante che dorme

Il timore di essere stata seguita da spietati nemici era davvero tanto, decise dunque di rifugiarsi insieme al figlio in una grande ma ben nascosta grotta del Gran Sasso. Il figlio, gravemente ferito, necessitava di urgenti cure, tanto che Maja cominciò a girare in lungo e in largo tra le vette dell’Appennino alla ricerca di erbe medicinali. Purtroppo, l’alta neve, che ricopriva l’intero territorio, rallentò le ricerche ed Ermete morì. La disperazione di Maja fu grandissima: per giorni rimase immobile, accanto al figlio, piangendo disperatamente. Ritrovata la lucidità, decise di seppellirlo su di una vetta del monte. I pochi abitanti del luogo, alle prime luci dell’alba, rimasero letteralmente a bocca aperta: Ermete si era trasformato in una gigantesca montagna che, da quel momento, venne chiamata “il gigante che dorme”.

Maja non riusciva più a trovare la serenità: la morte del figlio l’aveva segnata nel profondo. Fu proprio il forte dolore, incolmabile e incessante, che la portò alla morte. I congiunti della bellissima ninfa decisero di adornarla con vesti ricche di oro e di gemme, con colorate ghirlande di fiori, prima di seppellirla sulla maestosa montagna che si trova di fronte al Gran Sasso. La montagna prese la forma di una donna riversa su sé stessa, impietrita dal dolore e con lo sguardo rivolto verso il mare. I pastori, che ancora oggi si recano sulla montagna con le loro greggi, possono udire i lamenti disperati di una madre che ha visto morire tra le sue braccia il suo amato figlio. È il vento a trasportare tra le montagne il pianto di Maja.

La leggenda di San Martino

In Abruzzo, San Martino è considerato il protettore del vino. Il tutto nasce da una famosa leggenda che appartiene alla più viva tradizione popolare.

Martino era un grande bevitore. Era solito tornare a casa letteralmente ubriaco. Questo accadeva quasi tutti i giorni. La moglie proprio non accettava tale situazione. Ogni volta che il marito tornava a casa litigavano animatamente. Una sera Martino, ubriaco come al solito, decise di non rientrare per evitare litigi e non dare ulteriore pena alla moglie in procinto di partorire. Decise così di passare fuori la notte e dormire vicino ad una botte della sua cantina.

Era una notte davvero fredda, la neve scendeva giù come non mai, e il povero Martino morì congelato accanto alla grande botte. Intanto la moglie si disperava perché non vedeva tornare il marito a casa. Il tempo passava, ma del povero Martino nessuna traccia. Un giorno la donna, travasando il vino dalla grande botte in cantina, si accorse che la sua qualità era nettamente migliorata. Un vino ottimo, che si autoriproduceva, una botte sempre stracolma.

La notizia passò di bocca in bocca, arrivando alle orecchie degli abitanti del paese. Per tutti si trattava di un vero e proprio miracolo. Anche il parroco si recò in quella cantina e trovò, dietro la botte, il corpo senza vita del povero Martino. Una cosa straordinaria era successa: dal corpo era nata una vite che andava a finire proprio nella botte che produceva in autonomia quell’ottimo vino. Ecco perché San Martino è considerato, in Abruzzo, il protettore del vino.

Hiba Nadir