Cyberbullismo: basta accendere il cervello

Di Sabrina Pieralisi, Lucia Riggio e Giulia Silvestrini, 2B

Un tragico caso di bullismo digitale ha aperto la strada alla Legge 71/2017.

Oggi una maggiore consapevolezza aiuta a difendersi da un fenomeno di origine recente.

Carolina, 14 anni nel 2013. Una mattina si sveglia, è un po’ intorpidita perché la sera prima è stata a una festa. Guarda il telefono e trova migliaia di messaggi con insulti, insulti pesanti e molti ripetono una parola: “puttana”.

Carolina Picchio, vittima di cyberbullismo

Ma non basta, le arriva anche un video, è girato alla festa della sera prima: un gruppo di ragazzi mima atti osceni con lei.

Carolina ha bevuto un bicchiere di troppo, ha vomitato, ha perso conoscenza: per questo non ha fermato i ragazzi che hanno inoltrato il video in rete.

L’epilogo è tragico. Il 5 gennaio 2013 Carolina, volendo farla finita una volta per tutte, si lancia dalla finestra. Sembrava uno scherzo innocente, un momento di goliardia pensato da coetanei o da ragazzini più piccoli della vittima.

A volte anche un gioco può avere conseguenze inaspettate. Basterebbe accendere il cervello: un po’ il branco, un po’ l’euforia della festa, un po’ l’alcol o il fumo confondono le idee. Questa terribile storia ci lascia un chiaro insegnamento: bisogna imparare a essere responsabili delle proprie azioni.

Il caso di Carolina ha fatto scuola, ispirando la legge 71 del 2017 sul bullismo digitale.

All’epoca il processo suscitò molte discussioni; il giudice decise di mettere in prova i ragazzi maggiori di quattordici anni: senza una legge che desse disposizioni precise, per loro non si spalancarono le sbarre del carcere minorile.

In questo caso, poi, i colpevoli non sono solo le persone che hanno diffuso materialmente il video, ma anche le migliaia che hanno inviato messaggi offensivi a Carolina.

Dal bullismo digitale alla porno vendetta

Scarafia, tecnico informatico esperto sul cyberbullismo nell’incontro “Prevenzione delle insidie di Internet”

A quello di Carolina seguiranno altri casi di suicidio per le medesime ragioni, accentuati da un nuovo tipo specifico di cyberbullismo: il Revenge porn.

Il Revenge porn, tradotto in italiano “porno vendetta”, è la divulgazione senza il permesso del proprietario di immagini intime su Internet. Le vittime più colpite sono le donne, che nel 2021 compongono il 73% delle segnalazioni di questo genere.

Le motivazioni possono essere molteplici, spesso a scopo di vendetta dopo la fine di una relazione, oppure foto scattate in stato di scarsa lucidità.

Così, dopo la legge sul bullismo digitale, nel 2019 è nata la legge Codice Rosso, per condannare i crimini contro le violenze sessuali, stalking e revenge porn.

L’insegnamento che ci danno questi provvedimenti legislativi è chiaro: al giorno d’oggi è importante essere prudenti. Infatti non possiamo sapere dove finiranno le nostre foto private. Ma soprattutto è fondamentale ragionare senza nascondersi dietro a uno schermo.

L’ultimo insegnamento arriva direttamente da un biglietto scritto da Carolina prima di togliersi la vita:

“Le parole fanno più male delle botte”

Carolina Picchio

Fonti: