NEI TUOI OCCHI HO VISTO LA PRIMAVERA

Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Vittoria Veca della I QL, Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale del Secondo Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz”, apporta il suo personale contributo con un racconto di sua invenzione.

Roma, 16 aprile 2022

Mi chiamo Carrie, ho 72 anni, sono una scrittrice e amo andare sempre oltre l’impensabile…

Da piccola odiavo il mio nome, non ne comprendevo il significato, era diverso da quello delle mie amiche, i cui genitori si erano preoccupati di scegliere per loro nomi dai significati graziosi che io mi ritrovavo spesso ad invidiare. Per questo, cercavo sempre di abbreviarlo, di renderlo il più decente possibile, per evitare le prese in giro dei miei compagni, che nelle sere più filosofiche,  iniziavano a segnare su dei piccoli e rugosi sassi tutti i significati dei nostri nomi, però quando arrivava il mio turno lo spazietto bianco accanto a quelle sei lettere restava sempre vuoto.

 Ho chiesto più volte alla mia nonna, con la quale trascorrevo la maggior parte delle giornate, perché i miei genitori avessero deciso di identificarmi proprio con quel nome, vuoto e all’apparenza insignificante.

Mi rispondeva sempre con una frase, che mi spiazzava e raddoppiava i miei interrogativi  ma che oggi alla mia veneranda  età, mi scombussola il cuore.

 “Un giorno lo capirai, devi solo aspettare il momento giusto e ti assicuro che in futuro, se crederai di non scorgere più la luce, troverai in esso una forza che non sarà in grado di donarti nessun altro, una forza che viene da qui dentro” e indicava il mio cuore, caldo, carico di affetto, che non immaginavo si sarebbe dovuto battere contro le bufere scatenate dalla crudeltà umana.

E oggi, dopo cinquantasette anni dal giorno in cui ho letto le margherite che si celavano dietro quelle tre vocali e tre consonanti, ho compreso le parole di una vecchia saggia che resterà per sempre nel mio cuore:

“Donna libera”.

Ecco il significato di “Carrie”, rimasto a lungo enigmatico per me.

Mi tremano le ossa quando penso al mio passato, imprigionato in una parola così piccola e delicata.

Mi affaccio al balcone, con il mio primo romanzo biografico in mano, intitolato “Io sono Carrie” e dopo aver letto frettolosamente la dedica alla mia nonna e alla mia mamma, mi immergo nel prologo, riavvolgendo il nastro di una storia che non è mai iniziata e  non è mai finita e ascolto il vento, con la sua infinita voce, viaggiare tra i tetti e le chiome dorate delle mie colline, osservare il mondo con occhi lucenti, accarezzare quei ragazzi che si abbracciano per riscaldarsi e sfuggire al freddo lacerante,  avvolgere chi spalanca il cuore e spera di imparare a fluttuare tra le nuvole e il mare, ascolto il vento che, senza accorgersene, abbaglia la vista con cumuli di vapore, carichi di ricordi e di emozioni, capaci di stregare chi è bravo ad ascoltare…

 

 

Los Angeles 29 febbraio 1970

È un pomeriggio di fine agosto, il cielo si sta trasformando in una distesa di raggi arancioni e il sole sta pian pianino lasciando il posto alla tenera luna, impaziente di illuminare quell’immenso mantello nero. Quella giornata l’avevo trascorsa a casa, con la mamma e per la prima volta dopo tanti anni avevamo ritrovato il nostro rapporto pieno d’affetto che avevamo smarrito da diversi anni. Seduta sulla poltrona del mio giardino con il mio libro preferito sulle ginocchia e il mio tè alla pesca sul tavolino accanto, mi sono immersa  nei miei pensieri. Penso alla mia infanzia trascorsa come un uragano, con il solo sogno che finisse presto, con il solo desiderio che l’adolescenza potesse compensare quel periodo orribile della mia vita, quando mio padre abusava e picchiava mia madre. Avevo più volte pregato mia madre di recarsi in polizia e scoprire tutti i lividi sul corpo esile e sfinito dal pianto e dal dolore. Quei lividi che macchiavano quell’opera d’arte che era. Tutta quella sofferenza ebbe fine quando quell’uomo, se così lo posso definire, dalle mani orribili, scaricò tutta la sua ira verso di me e in pochi istanti, in un attimo, in una frazione di secondo mi ritrovai scaraventata a terra, con le braccia doloranti, la testa che girava e la sensazione di aver perso non solo il marito e compagno di vita di mia madre, ma anche mio padre. Ammettere ciò fu difficile, ma segnava il giorno in cui avevo gridato “basta”.

Si stava ricomponendo dinanzi a me l’immagine dei pezzi di vetro che quella sera di un sabato, che pensavo sarebbe stato come gli altri, noioso e breve, ma che purtroppo fu tutt’altro, erano sparpagliati sul pavimento bianco e delle figure di uomini in divisa che prendevano con forza quell’uomo sotto le  braccia e lo portavano incontro al suo destino. Forse avrei preferito trascorrere quel giorno con il broncio di chi è annoiato dalla monotonia sfiancante che passarlo con gli occhi pieni di lacrime e la sensazione di un gelido autunno nel cuore. Io e mia madre cercammo di ripartire da zero, di dimenticare quell’uomo che, invece di proteggere le persone più importanti della sua vita, si era affaticato a calpestarle innumerevoli volte, non provando altro nei nostri confronti che rabbia, rabbia e ancora rabbia. Forse è scontato dire che non provavo più nessun sentimento nei suoi confronti, che non lo consideravo più un essere umano. Da piccola lo definivo l’essere più cattivo dell’universo, ma un libro che terrò per sempre nel mio cuore, It ends with us, mi ha insegnato che “le persone cattive non esistono. Siamo semplicemente persone che a volte fanno cose cattive” e lui è una di queste. Forse nel profondo del suo cuore nasconde rimpianto, pentimento e tristezza per averci rovinato la vita. Forse smetterà di comportarsi da cattivo se nel mare in tempesta troverà l’ancora alla quale aggrapparsi per non annegare nei suoi errori. Adesso, spero e credo di essere pronta a cancellare il passato, che però ritorna sempre con più insistenza quando arriva il giorno dell’anno, questo per l’ esattezza, che sembra riaprire tutte le ferite, che neanche il tempo è riuscito a rimarginare, facendomi rivivere ciò che quella sera accadde, inaspettatamente. Adesso guardo oltre la siepe di rose del mio giardino e l’infinito che si nasconde dietro di esse e penso che proverò a navigare in un mare pieno di ostacoli con la sola certezza che non mi arrenderò mai e mi è impossibile non ricordare  Leopardi e sussurrare a me stessa, osservando il sole scomparire tra le nuvole:

“Così tra questa immensità s’annega il pensiero mio:

e il naufragar m’è dolce in questo mare”

E adesso mi perdo ad osservare il tramonto e penso e ripenso a Dome, un ragazzo della mia età che ha sofferto da bambino proprio come me. È stato infatti trascurato dalla sua famiglia da quando è nato ed è stato costretto all’età di quindici anni ad andare a vivere con i suoi nonni perché i suoi si sono ammalati e lui così piccolo non poteva cavarsela da solo, anche se ha una determinazione impressionante. I suoi nonni sono venuti a mancare due anni fa e da allora ha iniziato a lavorare per guadagnare qualcosa e potersi trasferire in una casa poco distante dalla mia dove poter vivere continuando a studiare per realizzare i suoi sogni. Ci eravamo trovati quando entrambi avevamo il cuore pieno di schegge e, iniziando a fidarci l’uno dell’altra, ci eravamo aperti, raccontando di noi ad ogni petalo di margherita che cadeva al suolo quando me li posava con delicatezza sulla testa e mi sussurrava all’orecchio:

“Nei tuoi occhi color autunno ho visto una primavera che nella mia vita non ho mai conosciuto”

 E un pomeriggio mi sono resa conto di ridere spensieratamente con lui,  di arrossire in maniera incontrollabile quando mi posava il suo braccio caldo sulla schiena ferita  per avvolgermi in un abbraccio caldo e frizzante  di coriandoli d’affetto e mi sono resa conto che l’amore nasce quado trovi nell’altro uno stimolo alla tua rinascita, quando vedi nell’altro la tua medicina e la tua parte migliore. Capisci di esserti innamorata quando i suoi occhi, incontrando i tuoi,  mettono in subbuglio il tuo cuore e senti la tua anima gridare il suo nome anche a chilometri di distanza. Capisci che non puoi fare a meno di quella persona quando nella sofferenza il suo ricordo basta a farti sorridere ma, soprattutto, capisci che siete destinati a camminare sulla stessa strada tenendovi per mano, quando saresti disposta a tuffarti tra le onde durante una tempesta per portarlo a galla e riscaldarlo con tutto l’amore che hai per lui.

Avevo iniziato di nuovo a credere nell’amore…è più facile vivere e scordare il passato quando hai qualcuno che è pronto ad afferrati ad ogni tua caduta…

                                                                                    Vittoria Veca  I QL