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Presso la Pinacoteca di Palazzo d’Avalos si parla di Primo Levi: dalla Shoah alla scrittura

“Noi milioni oggi siamo già dimenticati perché noi milioni siamo troppi”. Così recitano i versi di un famoso poeta polacco, poiché è immaginabile potersi immedesimare nel dolore di milioni di persone ed è per questo che la memoria sovviene, una memoria in pericolo, una memoria che non deve né tacere né dimenticare.

A questo proposito, infatti, nella cittadina di Vasto per la Giornata Della Memoria, che ricorre il 27 Gennaio, sono stati organizzati vari eventi, convegni, spettacoli, modi diversi per ricordare.

Uno di questi è quello del 24 gennaio nella Pinacoteca di Palazzo D’Avalos, durante il quale, alla presenza del professor Gianni Oliva e dell’assessore Nicola Della Gatta, il critico e studioso Giovanni Tesio ha ridato voce e forza alla testimonianza di Primo Levi. È stato un incontro commovente in cui Tesio ha raccontato e spiegato i lati oscuri dell’uomo e della sua opera, dal loro primo incontro fino all’ultimo poco prima della morte dello scrittore.

“Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità?”

È questa la domanda con la quale si è aperta la discussione, la domanda che spesso lo stesso Levi si è posto.

Probabilmente ciò accadeva e accade perché sono in molti a negare l’evidenza, considerando i fatti accaduti come incredibili, straordinari.

Proprio per questo i testimoni sono fondamentali affinché l’impronta della violenza resti impressa nella memoria, così come è rimasta in quella del noto scrittore piemontese.

Lui stesso infatti nel romanzo “La Tregua” si sofferma sulle sensazioni ed emozioni che lo hanno travolto nel momento della liberazione. Un senso di libertà per primo lo ha pervaso, ma che tipo di libertà?

Angosciosa, vuota e contaminata dal senso della vergogna, quindi tutto eccetto che gioiosa e spensierata, come spesso viene raccontato.

L’incubo del lager non solo ha continuato ad inseguirlo nelle abitudini che aveva ormai fatte proprie, ma anche nei sogni, nei quali la felicità era solo “un’illusione dei sensi”, una piccola parentesi prima che i soldati con un richiamo imperioso lo smuovessero dal sonno, all’alba.

Ma come si è giunti all’incontro tra Primo Levi e Giovanni Tesio?

In seguito alla lettura di un’edizione diversa rispetto a quella nota del romanzo “Se questo è un uomo”, Tesio “animato dal sacro fuoco della filologia” sfogliò le guide telefoniche di Torino e compose il suo numero.

Da qui ebbe inizio il loro legame finché pian piano entrarono in confidenza e Tesio scoprì l’abisso che era stata la sua vita.

Durante la conversazione, inframezzata dagli interventi del pubblico e del moderatore Oliva, Tesio è partito dai suoi scritti fino a giungere poi anche alla poesia di Levi, poco nota, e a scoprire la volontà del testimone che ci fosse un poeta nel campo, il quale potesse vivere gli accadimenti così come l’anima del poeta li vive e li sente.

Levi ha raggiunto il suo successo con altri romanzi ben noti, anche se, nel passato soprattutto, le persone erano così tanto ostinate a non voler ascoltare quanto fosse successo che, ad esempio, il suo famoso libro “Se questo è un uomo” ha dovuto prima essere rifiutato per poi essere pubblicato e solo allora ha potuto adempiere al suo compito: raccontare, testimoniare.

Ripercorsa la storia del grande scrittore, Tesio si è occupato di provare a dare una risposta a uno scomodo interrogativo: la morte di Primo Levi può essere ritenuta un suicidio?

Secondo quanto crede Giovanni Tesio, le conoscenze attuali non sono abbastanza sicure e precise da poter dare una risposta affermativa, benché le motivazioni che avrebbero potuto portarlo a questo fossero presenti.

Per prima la depressione, in altri termini “la perdita della razionalità”; poi la vergogna “dei sommersi e dei salvati”: la vergogna per essere sopravvissuti quando molti altri sono mancati e quindi il senso di impotenza di non aver potuto aiutare anche loro, in particolare Vanda Maestro, donna di cui era innamorato.

L’incontro si è concluso con la rievocazione di un importante episodio di “Se questo è un uomo” dal nome “Il canto di Ulisse” che spicca nel romanzo e rischiara l’atmosfera cupa per un attimo.

Una mattina Levi fu scelto come aiutante per prendere le zuppe. Nel breve viaggio insieme al suo compagno rammentò i versi dedicati ad Ulisse nella Divina Commedia ed iniziò a recitarli a memoria, con qualche falla qua e là.  Ricordare Dante fu vera felicità nell’inferno dei lager, gli diede l’illusione che anche lì una speranza potesse ancora esserci. In una realtà in cui all’uomo viene negata la vita, la scintilla della fiducia e dell’ottimismo sembra non essersi spenta. In questo abbiamo dobbiamo avere fiducia anche noi.

                                                                                             

Giulia Tiranno

Foto di Giulia Tiranno e Silvia Bosco