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“Combattere le nuove mafie con l’esempio”. Intervista a Vincenzo Musacchio.

di Giulia Vella – Liceo scientifico “B. Croce” di Palermo.

Buongiorno professor Musacchio, sono Giulia e quest’anno ho l’esame di Stato ed il tema della mia tesina riguarda proprio la mafia. Come prima domanda, che in realtà sarebbe più una curiosità, vorrei chiederle cosa voleva fare da grande?

Da bambino, sembrerà strano, ma il mio sogno era quello di diventare un pilota di Formula Uno. È una inclinazione maturata seguendo i Gran Premi di F1 con mio padre. Il mio idolo era Gilles Villeneuve. Poi, naturalmente, ho fatto tutt’altro.

Quanto è importante la conoscenza delle mafie a scuola?

L’acerrimo nemico della mafia è la scuola. Parto da quanto mi ha sempre insegnato il mio maestro Antonino Caponnetto. I giovani saranno i futuri portatori dei valori e della cultura della legalità. Saranno la più preziosa testimonianza, di ciò che abbiamo loro insegnato. Dobbiamo, di conseguenza, lottare perché la consapevolezza del fenomeno mafioso si diffonda sempre di più proprio tra i più giovani, affinché la lotta contro le mafie sia uno sforzo comune e non solo individuale. L’arresto di Matteo Messina Denaro, dopo trent’anni di latitanza, ci chiama tutti a non abbassare la guardia nella lotta alle mafie. La criminalità mafiosa si sconfigge quando l’impegno contro di essa diventa unanime.

Educare i giovani alla legalità è una strada da Lei indicata. Il suo progetto nelle scuole d’Italia si chiama “Legalità Bene Comune”. Oggi coinvolgere i più giovani è diventato davvero difficile. Secondo lei, quali soluzioni che si possono introdurre per un loro maggiore impegno sociale?

I giovani hanno bisogno di esempi a cui ispirarsi, di essere ascoltati e non giudicati, coinvolti e non sostenuti come fossero incapaci di intendere e volere. Bisogna considerarli e non “disprezzarli”. Attirare il loro interesse non è un compito facile, ma è un nostro dovere morale. Dobbiamo renderli edotti del mondo che li circonda, nel quale giocoforza dovranno vivere. Per quanto mi riguarda continuo a farlo da oltre trent’anni con incontri in ogni parte d’Italia, da Palermo a Milano.

L’indagine sull’arresto di Matteo Messina Denaro ha evidenziato la rete di coperture del boss a diversi livelli. Tanti professionisti e uomini delle Istituzioni. Cosa si sente di dire a queste persone?

Mi sentirei di dire loro che sono simili se non peggiori dei mafiosi. La mafia non è composta solo da mafiosi, il sodalizio criminale ha in sé operatori economici, professionisti di vario genere, politici, componenti della pubblica amministrazione. Questa è la vera forza delle nuove mafie. “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. È il sentore sulla cd. area grigia di Paolo Borsellino prima del suo assassinio. C’è sempre meno omertà e sempre più complicità, contiguità, disponibilità ad accettare compromessi con le organizzazioni mafiose per vincere appalti, per procurarsi aiuti economici, per ottenere favoritismi. Mi sento di dire che noi dobbiamo combattere queste mafie con l’esempio positivo attraverso le testimonianze vere, dimostrando con i fatti che delinquere non conviene. Ai giovani vanno forniti esempi e stili di vita coerenti. Me ne viene in mente uno importantissimo: il senso del dovere.

Le parole hanno il loro peso. Nel codice mafioso ci sono i padrini e il loro linguaggio. Oggi molti giovani vogliono il giubbotto che indossava Messina Denaro al momento dell’arresto. L’antimafia ha esempi a cui i giovani possono ispirarsi?

Ne ha tantissimi. Il punto è che molti giovani purtroppo non li conoscono. La mafia ha Riina, Provenzano, Messina Denaro, l’antimafia ha Falcone, Borsellino, Livatino e un’infinità di altri esempi a cui ispirarsi. Vorrei tanto che i giovani cominciassero ad amare tutte le persone che hanno perso la vita per la legalità così come amano l’infinito di Leopardi oppure il canto di Paolo e Francesca nella Divina Commedia. Dovremmo insegnare come si possa essere buoni cittadini pretendendo e determinando istituzioni efficienti e una classe politica onesta. Sarebbe già un ottimo punto di partenza.

Quale messaggio si sente di mandare ai giovani che si sentono attratti dalle mafie?

Mi piacciono molto le parole di Peppino Impastato: “La mafia uccide il silenzio pure”. Dovrebbero essere scritte all’ingresso di ogni scuola perché il messaggio terrificante è che stiamo educando una gioventù all’indifferenza. Abbiamo perso il senso della comunità. L’unico rimedio, ancora una volta, è l’educazione: dobbiamo trasmettere l’idea che le mafie sono il male assoluto. È indispensabile l’impegno sociale di ciascuno di noi. Questo cancro in continua metastasi si può combattere solo contrapponendo un’altra cultura, quella della legge, della verità e della giustizia. Dobbiamo educare al rispetto delle regole: oggi regna l’idea che le regole non siano importanti, che siano un fatto trascurabile. Non è così: le regole hanno il potere di cambiare una società, ma con la stessa facilità la loro violazione o peggio il messaggio che sono inutili e trasgredibili possono distruggerla inesorabilmente. Diffondiamo questo messaggio e come diceva Paolo Borsellino: “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Basterebbe questo per far diventare il fenomeno mafioso marginale e isolato.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.