I’LL SEE YOU…Un viaggio sul lato oscuro della Luna P.1

 

Siete pronti per andare sulla luna?

Dobbiamo solo tornare indietro di qualche anno, spostarci nel tempo per vivere e rivivere quella vita cristallizzata in tutta la sua bellezza e sofferenza all’interno di The Dark Side of The Moon. Solo esplorando questo celebre album dei Pink Floyd si può dire che la luna la si è, se non vissuta, almeno sfiorata.

Era il 1 Marzo 1973. Sei anni dopo The Piper at The Gates of Down, l’esordio, e sei anni prima del Muro.

The Dark Side Of The Moon, lo spartiacque per eccellenza, è un viaggio attraverso la vita stessa, che squarcia il Tempo e lo Spazio dopo anni di sperimentazione.

Il Tempo, anima e corpo di questo album, scandisce lo scorrere della vita, determina i passi di una danza che ancora oggi, 50 anni dopo, continua ad essere ballata sui solchi dei giradischi.

The Dark Side of The Moon racconta la tormentata condizione dell’essere umano, vita e morte che si susseguono l’un l’altra lungo la sottile linea che le separa. Diviso in due atti, la prima faccia della luna narra “il vivere una vita”, il secondo non fa altro che puntare il dito contro una società che giorno dopo giorno ci porta piano piano alla follia.

“I’ve always been mad, I know I’ve been mad, like the most of us…very hard to explain why you’re mad, even if you’re not mad…”

E così il nostro viaggio inizia, un viaggio psicofisico, astrale, al di sopra dell’uomo stesso, alla ricerca del lato oscuro della luna. Le lancette scorrono, il tempo accelera e rallenta, si dilata assiduamente, e lo sfondo nero della copertina ci travolge e ci inghiottisce trasportandoci in una notte senza luna.

In lontananza il riverbero del battito di un cuore, è il cuore di qualcuno che sta per nascere. L’orologio ticchetta, un grido squarcia il silenzio: il grido della vita.

“Breathe, breathe in the air  Don’t be afraid to care”

E così il bambino prende il suo primo respiro ed inizia a piangere.

“And all you touch and all you see it’s all your life will ever be. Run, rabbit run.”

Il bambino cresce, cresce e si rende conto che ora si trova sulla linea di partenza, che ha delle scarpe, una divisa: lui deve correre perché è la società che lo chiede. Allora si prepara per affrontare una corsa contro il tempo, per raggiungere gli altri, o una metà a cui tutti cercano disperatamente di arrivare.

“Live for today, gone tomorrow, that’s me!”

La musica si fa veloce, incalzante e penetrante: è il rumore dei piedi che sbattono sul pavimento e dei respiri accelerati. Poche parole vengono pronunciate, perché nessuno pensa a pensare, ognuno si dedica a rincorrere e a superare chi ha davanti. Così tanta è la voragine nel petto che qualcuno ha bisogno di fermarsi.

Con le mani sulle gambe e una lotta furiosa tra polmoni e respiro, capisce di aver perso tempo.

“And you run, and you run to catch up with the sun  but it’s sinking.”

In realtà tutti correvano verso un’illusione, non c’era meta se non la morte.

Hanno corso aspettando qualcosa che stava per arrivare, ma il tempo ha continuato a scorrere e alla fine tutti si sono girati e hanno visto che ciò che stavano aspettando non è arrivato, e che per tutto quel tempo hanno corso invano.

Cosa è rimasto?

“The time is gone, the song is over, thought I’d something more to say  Home, home again”

Dunque, è durante Time, il brano dove la perfezione raggiunge il suo picco più alto, che la realtà crolla sulle spalle degli ascoltatori. Tra ticchettii di orologi e i suoni assordanti delle chitarre, ci viene rivelata la più scomoda delle verità: il tempo passa senza fermarsi per nessuno, e ci si rende conto troppo tardi di aver perso lo sparo ad inizio corsa.

“Tolling on the iron bell

Calls the faithful to their knees

To hear the softly spoken magic spell”

Allora l’atmosfera si cristallizza, tutto si fa denso, leggero e lieve.

Poi la voce di Clare Torry irrompe con delicatezza sfiorando acuti con voce soave, dando inizio all’incantesimo. La sensazione di avere gli occhi puntati al cielo, di cadere liberi nel vuoto e, soprattutto, di assenza di gravità: il primo disco continua e finisce con The Great Gig In The Sky.

“I am not frightened of dying, any time will do, I don’t mind”.

Si vuole inconsciamente combattere la morte, ma, alla fine, è solo “Il grande spettacolo nel cielo”. È un elemento presente, costante e assolutamente normale, un flusso che scorre senza tante parole.

The Great Gig in the Sky quasi si presta a sovrastare la morte e ad accoglierla, ma come cambierà la visione della realtà dopo?

La voce si affievolisce fino a sembrare lontana.

Il primo disco è ufficialmente finito e la puntina ritorna al suo posto.

 

 

Giulia Tiranno

Alessandra Masciantonio