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Da Genova a Rapallo, passando per la Dinamo Kiev: intervista a Diego Longo, allenatore 

Ma la fantasia conta più della tecnologia

di Giovanni Porceddu , classe 1B

 

Allenatore genovese classe ’76, Diego Longo adesso vive a Rapallo, dopo una vita all’estero fra Romania, Qatar, Grecia, Arabia Saudita, Ucraina ed Albania. 16 anni con Razvan Lucescu, la vittoria della AFC Champions League e la separazione. Venti giorni dopo, la chiamata del secondo allenatore più vincente della storia del calcio.

Mister Longo in questi mesi risiede a Rapallo e collabora con la PSM, ma solo la scorsa stagione sfiorava la qualificazione alla Conference League con il Kukesi, piccola squadra albanese che puntava alla salvezza. Ha allenato e vinto in molti paesi europei, arrivando in Champions League con la Dinamo Kiev. In quel girone, stagione ‘20/’21, c’erano la Juventus di Ronaldo e il Barcellona di Messi.

Di seguito le parole che mi ha concesso sulle panchine del campo Macera di Rapallo:

“Perché ha deciso di fare l’allenatore?”

“Sin da ragazzino avevo questo sogno, quindi ho sempre cercato di studiare in questa direzione. Poi, quando ne ho avuto la possibilità ho iniziato a lavorare. Prima con le scuole calcio e i settori giovanili e poi con gli adulti, attraverso tanti studi e tanti corsi. Sono arrivato dove era il mio sogno: allenare in Champions League e nei campionati maggiori.

“Come è arrivato a Razvan Lucescu e poi a suo padre Mircea?”

“Razvan stava iniziando la sua carriera da allenatore e cercava un assistente. Ci siamo conosciuti tramite una persona che mi ha consigliato a lui e ci siamo piaciuti subito. Dopo pochi giorni eravamo in campo e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Siamo stati insieme 16 anni, fino a che l’ultimo anno abbiamo vinto Champions League asiatica, campionato e coppa araba e ci siamo divisi. Volevo cominciare a fare il primo allenatore, ma dopo venti giorni Mircea è andato alla Dinamo Kiev e mi ha chiesto di dargli una mano.

“E’ stato più soddisfacente vincere la Champions League asiatica o ricevere la chiamata da Mircea Lucescu, il secondo allenatore più vincente della storia del calcio?”

“Sono due cose entrambe soddisfacenti. Vincere la Champions è un sogno che si avvera. Il livello è sempre al top, giochi contro avversari forti davanti ad ottantamila persone. La chiamata probabilmente è stata la soddisfazione professionale più grande. Essere chiamato da un allenatore del genere, tra l’altro dopo essere andato via dal figlio, mi ha fatto molto piacere, perché significa che in quel momento ha considerato che avessi valore”.

“La tecnologia aiuta o non aiuta il suo mestiere?”

“Come in tutti i campi, la tecnologia aiuta se la utilizzi per quello che ti serve. Io nel calcio la utilizzo parecchio per l’analisi di dati e video e il calcolo dei carichi di allenamento. Poi uso i GPS metabolici, che permettono di conoscere come si muove un giocatore in campo, quanto accelera, quanto decelera e quanta forza mette nella frenata. In questo campo è un aiuto concreto  perché permette di preparare il singolo giocatore di conseguenza. 

“La tecnologia però non è fantasia. Quanto è importante la fantasia nel suo mestiere?”

“La fantasia è importante, più della tecnologia. Perché  permette poi di sognare, che è la cosa più importante, in qualunque mestiere. Se uno ha un sogno, con lavoro, voglia e abnegazione riesce a raggiungerlo. Ma se uno non ha la fantasia e la creatività di iniziare a sognare, si accontenta. Secondo me la cosa peggiore che si possa fare è accontentarsi, bisogna sempre provarci. E poi, dal punto di vista pratico, quando sono in campo ho bisogno di inventare soluzioni dal nulla: quando mi serve un cambio o quando devo motivare un giocatore.

Un giorno la tecnologia potrà sostituire, almeno in parte, il lavoro dell’allenatore?”

“No, perché il calcio è uno sport di situazione, di improvvisazione. Può succedere qualunque cosa e non è prevedibile. Tu prepari la partita in un certo modo e dopo cinque minuti prendi gol. Oppure un giocatore ha un crollo emotivo e reazioni inaspettate. Un computer non riuscirebbe ad avere l’empatia e la capacità di analizzare mentalmente quel giocatore e di farlo riprendere in breve tempo. La tecnologia è solo un mezzo. Nel golf si usano vari ferri per i diversi colpi. A me piace dire che la tecnologia è uno dei ferri che abbiamo a disposizione.”

“Pensa invece che la tecnologia possa sostituire il ruolo dell’arbitro?”

“No, neanche in questo caso. Perché l’arbitro ha il polso della situazione, sa cosa sta succedendo e riesce a sentire il momento della partita. A volte deve richiamare un giocatore, a volte dargli un cartellino mentre altre volte basta fare una battuta per stemperare gli animi, cosa che una macchina non sarebbe certo in grado di valutare . Però è vero che gli arbitri possono essere molto aiutati dalla tecnologia, per vedere un fuorigioco o sapere se la palla ha varcato o meno la linea.

“La tecnologia sta snaturando il mondo del calcio sotto il punto di vista dell’arbitraggio. E’ favorevole al nuovo fuorigioco semi-automatico?”

“Io sono favorevole a tutto quello che può aiutare l’essere umano. Se il fuorigioco semi-automatico aiuta l’arbitro a sbagliare meno e gli toglie delle responsabilità, io sono favorevole.

“E’ una tecnologia che punisce anche pochi millimetri. Pensa che si tratti di un vantaggio effettivo?”

“Il fuorigioco c’è o non c’è, come quando arrivi in ritardo. Se sei dieci secondi in ritardo non puoi dire che lo sei di poco, sei in ritardo. Se c’è un fuorigioco, è fuorigioco. Se c’è un colpo di mano, è fallo, se la palla sfiora o colpisce tutta la mano. Ci sono delle regole e vanno seguite. Così non ci possono essere poi fraintendimenti o discussioni. Un fuorigioco di un millimetro è come uno di venti metri.”

“Cosa pensa degli errori e delle problematiche che continuano a verificarsi durante le partite con le nuove tecnologie?”

“Ci sono ancora dei limiti sull’utilizzo della tecnologia, ma credo che sia la strada giusta. Attraverso gli errori si migliorerà e tra qualche anno si riusciranno ad avere situazioni sempre più chiare. Il calcio però è uno sport situazionale e la tecnologia non può prevedere e stabilire tutto. Ci sta che ci sia qualche errore. Basta che non siano fatti in mala fede.”

“Pensa che il VAR debba essere utilizzato più spesso, anche per situazioni meno importanti come un semplice cartellino giallo?”

“No, credo che altrimenti si spezzetterebbe troppo il gioco e si perderebbe intensità. Invece il calcio è intensità, non puoi fermarlo troppe volte. Preferisco che ci sia qualche piccolo errore o qualche cartellino in più o in meno, ma che si giochi con intensità perché altrimenti poi diventa noioso. A me il calcio piace quando è veloce, e penso sia così per tutti.”

“In definitiva direbbe che la tecnologia ha migliorato o peggiorato il mondo del calcio?”

“Dico che la tecnologia lo ha già migliorato, in parte, ma mi sembra che attraverso la buona volontà ed il buon senso di tutti lo migliorerà ancora di più.”

Un allenatore che dunque si rivela contento del ruolo assunto dalla tecnologia sul mondo del calcio fino ad oggi. Eppure non per tutti è così: molti allenatori, commentatori o semplici appassionati ritengono eccessivo l’impatto tecnologico su questo sport.