QUEL TERRIBILE 3 OTTOBRE

Ben riuscito l’esercizio di scrittura creativa horror di Vittoria Veca, alunna della classe I QL del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale del Secondo Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta. Provate a leggerlo!

Da secoli e secoli, in un paese, lontano dallo sguardo indiscreto delle grandi città, si narrava una leggenda che terrorizzava i cuori caldi e docili dei bambini e disgustava le anime degli adulti.  Pensavo che nessuno avrebbe cercato quel luogo così malamente descritto da me, ma anche io, nonostante conosca molte anime, mi sono dovuta ricredere.

E così, adesso, tra i tetti aguzzi e le chiome dorate si narra un’altra storia capace di gelare il sangue degli ascoltatori che non vogliono pensarsi protagonisti delle vicende narrate.

Magari tu che leggi sarai il prossimo…

*** era un paese caldo e popolato da cuori diversi ma pieni di luce. Gli alberi segnavano i confini di quella piccola nave, rendendola perfetta e graziosa. Vi abitavano diverse famiglie ma la mia preferita sarà sempre la “Liverly”.

Era composta da una giovane donna, da un uomo di mezza età, con il viso solcato da numerose rughe già imbiancato e da una bambina, dolce, ingenua e curiosa, forse troppo.

Il 3 ottobre per puro caso, Gertrude, così si chiamava, origliò per sua sfortuna un dialogo, che vedeva protagonisti i suoi genitori. Sembrava, dalle loro voci basse e rigide, che le volessero tenere nascosta la presenza di un luogo, un castello, che mi sono scordata di precisare essere il neo del paese. Ricordando le parole di una sua amica, riuscì a trovare la strada per quel luogo così chiacchierato dai suoi coetanei. Sbagliò ad imboccare diverse stradine, ma alla fine si addentrò in quella corretta che portava un nome alquanto inquietante: “Il sentiero dell’orrore”.

Aveva paura? Sì, ma  Dante, il suo poeta preferito, le aveva insegnato che bisogna essere forti e coraggiosi. Così iniziò a muovere i primi passi tra gli alberi alti e imponenti che la scrutavano attenti. Dopo pochi secondi, sentì la voce tenera e stranamente dolce di un bambino. Si bloccò, il suo cuore batteva così forte che pensavo fosse il mio, peccato che non ne possiedo uno.

Era una melodia perfetta per le mie anziane orecchie.

Indietreggiò, il respiro le diventava sempre più pesante, le mani tremavano.

E pensare che era solo l’inizio.

D’un tratto lo vide con chiarezza. I ricci corti che gli accarezzavano la giovane fronte, il corpo esile e degradato, sembrava essere uscito da uno scontro fatale. Delle macchie di sangue popolavano il pallido volto. Esibì il suo scheletrico braccio e indicò un punto che la bambina non riusciva a scorgere con il suo metro e quaranta.  Ripeté il gesto e nel frattempo muoveva leggermente il viso, da sinistra verso destra. Gertrude decise di ignorarlo e di seguire quelle bizzarre indicazioni, non scordando però gli occhi bruciati di quel bambino.

Con una nuova strana sensazione nel petto, proseguì il suo percorso, fin quando non le si schierò dinanzi un’enorme struttura. Alzò gli occhi al cielo e con sua enorme sorpresa notò che il sole aveva lasciato il posto alla spettrale luna. Com’era possibile?

 Un cancello grigio serrava l’entrata a quel museo degli orrori, nel quale terreno si trovavano delle lastre di marmo, grigie e buie.

  Dinanzi ad esso si estendeva un muro lungo e roccioso. Si avvicinò leggermente ad esso, ma un rumore improvviso la costrinse ad arretrare. Il cancello si spalancò furioso e si liberarono una serie di urla e pianti strazianti, tra essi c’erano anche i lamenti di Gertrude che spiccavano tra tutti. Iniziò a correre più veloce del vento, ma fu inutile. Venne catapultata all’interno di quella struttura animata, con una violenza agghiacciante.

In quel cimitero dalle colonne alte e rugose, si era aggiunta una nuova lapide insieme a quella del bambino:

“Gertrude 3 ottobre 1978”

  La morte.

 Vittoria Veca 1QL