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Per non essere “indifferenti”: la testimonianza di Giordano Bruschi, partigiano “Giotto”

Pagine dell’Internazionalismo dalla Resistenza Europea alla Casa dello Studente.

Classi 1F (con il particolare contributo di Lia Lenoci) e 4G (con il particolare contributo di Marie Nai Fovino, Ginevra Sivori e Nicoleta Zamaru).

La locandina dell'iniziativa

Nella mattinata dello scorso 18 aprile, come altre classi del nostro Liceo (si veda l’articolo del 22 aprile 2023 La Casa dello Studente: la verità che ignoriamo di Vittoria Gandolfo, 2aB), ci siamo recati alla Casa dello Studente di Corso Gastaldi, Museo della Resistenza Europea, per partecipare a una delle iniziative organizzate dal Centro di documentazione Logos in collaborazione con altre associazioni (vedi locandina).

 

La Casa, inaugurata nel novembre del 1934 dal vice segretario del Partito Nazionale Fascista, come luogo di residenza “d’élite” per gli studenti universitari, il 2 ottobre del 1943 viene occupata dalle SS, che vi stabiliscono il proprio quartier generale, vi costruiscono quattro celle di reclusione “per gli arrestati in attesa di interrogatorio”, e ne adibiscono i sotterranei a luogo di tortura dei sospettati di attività “sovversive”, ossia di una qualsiasi collaborazione con la Resistenza.

Dopo la fine della guerra, questa “pagina” della storia della Casa fu fisicamente nascosta: l’accesso al “Sotterraneo dei tormenti” fu sigillato e murato, e le celle piastrellate e adibite a dispensa della mensa della Casa tornata all’originaria funzione di residenza studentesca. A “riscoprire” questa pagina furono gli studenti internazionalisti del “Comitato Direttivo della Casa dello Studente” nel 1972.

 

 

 

 

 

La scoperta delle celle e del “Sotterraneo dei tormenti” , Il Lavoro, 19 novembre 1972.

Oggi il sotterraneo e le celle ospitano una mostra permanente, pensata e allestita dal Centro di documentazione Logos con il patrocinio dell’ANPI di Genova, e sono stati adibiti a Museo della Resistenza Europea. Per una panoramica più ampia della storia della Casa e del Museo rimandiamo al già citato articolo della nostra compagna della classe 2B, che li ha visitati il 20 aprile.

 

Con questo articolo vorremmo condividere alcune delle nostre impressioni sulla visita e l’esperienza dell’incontro con uno dei protagonisti di questa pagina della storia, Giordano Bruschi, il partigiano “Giotto”, che, con una estrema lucidità e forza d’animo nonostante i suoi 98 anni, ci ha parlato della propria esperienza, ha riflettuto con noi sulla propria scelta e su quella di altri partigiani, e soprattutto ci ha stimolati a ragionare sull’attualità del messaggio lanciato da questi protagonisti del loro tempo alle successive generazioni.

Gli alunni della classe 4G con Giordano Bruschi, partigiano “Giotto” davanti alle celle.

Fra le altre testimonianze di combattenti, Giotto ci ha raccontato la storia della staffetta partigiana Stefanina Moro. Era una ragazza di soli 16 anni. Suo padre Ottavio le insegnò i valori tipicamente antifascisti di libertà, uguaglianza, solidarietà. Stefanina venne catturata a Cornigliano dai fascisti  e torturata, ma ha continuato a non parlare, pur di proteggere i propri compagni. Venne quindi portata alla Casa dello Studente, dove subì torture indicibili. Ormai moribonda, fu portata all’ospedale di Asti, dove muore il 9 ottobre 1944, a pochi giorni di distanza dal padre partigiano, anche lui ucciso mentre combatteva per la medesima causa.

Prima dell’incontro con il partigiano Giotto, i giovani volontari del Centro di documentazione Logos e GenovaSolidale ci hanno raccontato la storia dell’edificio e ci hanno poi fatto entrare 10 per volta nelle 4 celle che “ospitavano” le persone che attendevano di essere interrogate.

Ospitare in realtà non è il verbo adatto per descrivere la permanenza nelle celle perché la guida ci ha detto che in quelle stanzette di pochi metri quadri ci stavano in 10, e quelle persone non avevano neanche spazio per sedersi: quando siamo entrati dentro eravamo tutti stupiti che degli esseri umani abbiano potuto sopravvivere in quelle condizioni.

Sui muri delle celle c’erano scritte di speranza e ricordi per lasciare un segno e non morire nell’indifferenza, perché chi era recluso in quel luogo conosceva già il proprio tragico destino.

Infatti nelle celle le urla che provenivano dai sotterranei, dove i prigionieri venivano torturati, erano amplificate e molti rivelavano le informazioni anche prima di essere toccati per paura del dolore. Solo i più forti resistevano e non parlavano.

 

Il “Sotterraneo dei tormenti” con la mostra permanente.

Quando tutti hanno visitato le celle ci siamo spostati nel “Sotterraneo dei tormenti”, un luogo freddo e pieno di inquietudine. Lungo le pareti sono appesi pannelli su cui sono riportati i testi di alcune delle lettere scritte dai partigiani per i loro cari – nonostante la brutalità della situazione erano piene di speranza –, su altri pannelli invece sono riportate alcune testimonianze delle terribili cose che succedevano nel sotterraneo. 

Come ci spiega la guida, quando il  sotterraneo e le celle furono riportati alla luce si posero le basi per la creazione di un luogo di memoria, che non fosse dedicato solo alla Liguria o all’Italia ma che fosse dedicato ai movimenti di resistenza contro la barbarie sorti in tutta l’Europa in guerra. Proprio per questo nel 1974 la Casa dello Studente fu dedicata a Rudolf Seiffert, un operaio tedesco che organizzò nella fabbrica in cui lavorava un gruppo di resistenza contro il governo nazista e fu per questo ghigliottinato nel 1945. La volontà è quella di ricordare una pagina, spesso dimenticata ma essenziale, della resistenza e dell’internazionalismo in Europa: l’opposizione tedesca al nazismo, che solo tra il 1933 ed il 1939 portò alla reclusione nei campi di concentramento circa un milione di tedeschi. Lo spirito che anima questa scelta e il progetto stesso del Museo è il medesimo che emerge dalle lettere esposte: “… al momento di morire, proclamo che non porto alcun odio verso il popolo tedesco …” (lettera alla moglie di Misaak Manouchian, 38 anni – Francia); “… a guerra terminata, vi esprimo il mio ultimo desiderio: dovete adottare un orfano tedesco al mio posto.” (lettera ai genitori di Christian UlriK Hansen, 23 anni – Danimarca). 

La società odierna non ha ancora imparato dagli errori del passato, è ingiusta, non ha limite alla crudeltà, per questo bisogna ricordare.

La visita del figlio di Seiffert alla Casa dello Studente il 25 aprile del 2011.

Una testimonianza molto toccante è la lettera scritta da Seiffert poco prima della sua decapitazione: il figlio decise di donare una riproduzione dell’originale di questa lettera nel 2011 al Museo.

Ci ha molto colpito anche l’ultimo messaggio di Paul Camphin, 21 anni, francese, che scrive : “… non rimpiango nulla, solo di non aver fatto abbastanza; se dovessi ricominciare una seconda  vita, la ricomincerei simile alla prima …”.

 Ciò che si può notare leggendo i testi è l’orgoglio dei condannati: nonostante la morte imminente, essi erano felici di aver perseguito i propri ideali, di aver combattuto e di non essere rimasti “indifferenti”.

È questo il titolo di un articolo del 17 febbraio 1917 scritto da Antonio Gramsci ne “La città futura”, di cui ci ha parlato Giordano Bruschi. 

Proprio in questo articolo, Gramsci fu il primo a utilizzare il termine “partigiano” per identificarsi e per definire coloro che parteggiano, che fanno il proprio dovere e che si propongono di lottare per un cambiamento. Con il termine “indifferenti”, Gramsci definisce, invece, coloro che non schierandosi e rimanendo apparentemente neutrali non si assumono alcuna responsabilità e vogliono mostrarsi come eterni innocenti, ma di fatto, non agendo, contribuiscono alla conservazione delle contraddizioni del mondo in cui vivono.