La vita travagliata della giornalista Felicita Ferrero

Felicita Ferrero nata nel 1899, da un operaio specializzato e una pantalonaia, in una Torino tanto bella quanto socialista,  in seguito ai suoi studi di lingue, soprattutto il russo, e grazie al suo interesse per i dibattiti sindacali, inizia ad occuparsi di ingiustizie padronali.

E’ in questo modo che affiora anche la sua passione giornalistica e, poco dopo aver fatto la conoscenza di Antonio Gramsci, inizia una collaborazione con il giornale da lui fondato, “Ordine Nuovo”.

Nel 1921 aderisce al Partito Comunista Italiano. Grazie alle sue conoscenze linguistiche il Partito la invia come delegata a Mosca al Congresso dell’Internazionale Giovanile, riuscendo così a sfuggire alle prime persecuzioni fasciste.

Era convinta che la lotta di classe non dovesse fare divisioni tra uomini e donne, ma già nella durissima vita di partito degli anni immediatamente successivi alla marcia su Roma, sempre più vicina alla clandestinità, maturò un giudizio sempre più critico su quello che era il ruolo assegnato alle donne nel Pci.

Tornata in Italia, con l’ascesa del Fascismo a rango istituzionale e l’attentato a Mussolini a Bologna nel 1926, si apre la fase di fascistizzazione totale della società e di repressione più decisa del regime. Le viene affidato un incarico organizzativo nel Soccorso Rosso, la rete solidale di raccolta fondi in aiuto dei comunisti incarcerati dal regime e delle loro famiglie. Nel luglio del 1927 è arrestata dai carabinieri e condotta in carcere, con l’accusa di avere aderito al Partito Comunista e di sostenere economicamente gli antifascisti incarcerati e le loro famiglie. Processata a Roma dal Tribunale Speciale, viene condannata a 6 anni di reclusione assieme al suo compagno, Velio Spano, futuro dirigente del Pci.

Viene internata nel carcere femminile di Trani, in un vecchio convento riadattato a istituto penale gestito da suore. Scarcerata nel novembre del 1932, torna a Torino riprendendo il lavoro clandestino nel partito, ricevendo una dura nota di biasimo dal partito, una macchia sulla sua carriera di militante comunista che anche in seguito non mancherà di esserle rinfacciata.

Nella primavera del 1933 riesce a espatriare in Francia, raggiungendo il centro estero del partito a Parigi e nell’estate, a causa del precario stato di salute, emigra in Unione Sovietica, appoggiandosi al Soccorso rosso internazionale, presso un sanatorio nei dintorni di Mosca, da lei definito, anni dopo, come “una fabbrica di stalinisti e di burocrati”.

La giornalista racconterà tutto nel suo libro “Un nocciolo di verità” pubblicato nel 1978. Finita la guerra, chiese ed ottenne di tornare in Italia, nella sua Torino, dove lavorerà come segretaria di redazione e poi come archivista all’Unità di Torino.

Nel 1957 lascia il partito e abbandona ogni attività sino alla morte, avvenuta nel 1984, restando sempre fedele agli ideali del socialismo umanitario. Si sottolinea la passione civile e politica di Felicita Ferrero, il suo ruolo di precorritrice delle tematiche femministe e la sua tenacia nel difendere la libertà, da qualunque parte venisse messa in discussione

 

Luisa Isabella Ghiran