Un sogno che si avvera (lettera da me stesso nel futuro)

Ciao, oggi vi racconto un po’ di me.
Ho 29 anni, fin da piccolo ho sempre avuto la passione del calcio, ho giocato in diverse squadre ma tutte
della mia zona, finché un giorno sono stato chiamato dalla Juve: un’emozione fortissima!
Mi sentivo molto eccitato, ma non è così tanto bello, infatti tutti dicono: “Il calcio è facile basta correre dietro un pallone”, ma nessuno sa cosa veramente c’è dietro tutto ciò!
Dietro quella corsa a rincorrere il pallone ci sono grandi sacrifici e studi. Io da ragazzino non pensavo allo
studio, credevo non servisse a niente finché, quando sono arrivato in agonistica , i mister chiesero le pagelle e se non ci fosse stata una media del 7/8 non avrei potuto giocare con loro. I miei mister mi hanno sempre detto: “1) famiglia 2) scuola 3) calcio”.
Allora mi misi in testa che, per raggiungere il mio sogno, dovevo impegnarmi .
Me ne andai di casa all’età di quindici anni, continuai gli studi a Torino e, dopo tre anni, presi il diploma.
Da quel momento avrei potuto pensare solo al calcio! Beh sì, per diciotto anni della mia vita non ho pensato alle ragazze, perché mi avrebbero solo distratto. Finché un giorno fui chiamato dalla prima squadra e vidi una ragazza bellissima; allora ce la misi tutta, feci goal, la guardai e feci il cuore con le mani.
Iniziai a uscirci per conoscerla meglio e, dopo quasi un mese di frequentazione, riuscii a mettermi assieme a lei.
Adesso stiamo insieme da qualche anno.
Uno dei miei ricordi più belli è quando, finita la stagione calcistica, avevo un mese di vacanze e la portai a Tenerife (posto dove da piccolo andavo sempre con la mia famiglia ).
Ovunque andassi mi veniva in mente un ricordo, soprattutto la palestra dove facevo pallanuoto.
I ricordi con la mia famiglia sono bellissimi, ma ora avrò la mia famiglia con Bea.
A proposito di ricordi, mi viene in mente quando litigai con il mister: mi buttò fuori per due settimane!
Dopo due partite perse, vidi che i miei compagni non erano più quelli di prima, anche perché, chi scherzava, tirava su l’animo a tutti ero sempre io, e i miei compagni mi dicevano: “Devi tornare Miki, si sente la tua mancanza”.
I miei compagni non ce la fecero più, andarono dal mister, e gli chiesero di rimettermi in squadra o tutti se ne sarebbero andati. In una situazione così il mister mi riprese in squadra e iniziò a credere molto più in me.
Di ricordi ne ho molti: dal primo goal, al primo bacio, al primo scudetto, ma il ricordo più bello che ho è quando, all’età di dodici anni, a cena con la mia famiglia, mi alzai e dissi: “Un giorno sarò famoso, diventerò un calciatore. Mio padre non ci credette tanto, ma mi disse che sperava per me… Quasi tutti mi derisero, a parte mio fratello che, aspettando che finissero di deridermi, disse: “Fratellino, tu ci credi o ci speri?”. Io molto deciso risposi: “CI CREDO, FRATELLONE”, lui mi disse: “Fratellino, sei forte, io credo in te!”.
Ora ho tutto, la promessa l’ho mantenuta, ma non ho il mio fratellone…
Michele Fiandaca , Secondaria Marconi