Da grande voglio fare il medico perché

Valerio Anfuso , attualmente della classe III QL del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Quadriennale, del II Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta, con il suo interessante elaborato è arrivato in finale al concorso “Da grande farò il medico perché”, indetto dall’Ordine dei medici di Siracusa. 

Le parole sono la materia prima del nostro mondo, con il tempo ho imparato ad apprezzarne e custodirne alcune, altre invece non ho mai smesso di odiarle (esempio: le parole bugiarde ed ingiuriose). Crescendo le ho amate ma soprattutto le ho cercate e ciò che le ha accomunate tutte è il dove le ho trovate ovvero nei posti più remoti e nascosti, mentre altri le scovavano in libri e poesie, io le trovavo in un verbale della municipale dove veniva notificata la rimozione coatta della macchina di mio nonno da un passo carrabile oppure scritte sui muri in attesa di essere lette e gridate al mondo. Quando ero più piccolo quella parola “coatto” mi aveva colpito proprio a causa del suo valore polisemico, al significato di persona maleducata attribuitogli in romano corrispondeva il significato di rimozione obbligatoria o forzata in italiano; forse per ironia della sorte o scherzo del destino a me queste parole con più significati sono piaciute sempre, in linguistica una particolare condizione di polisemia è l’enantiosemia cioè la caratteristica di una locuzione/vocabolo di avere due significati opposti.

Esempi possono essere sbarrare che può significare sia aprire (come in sbarrare gli occhi) sia chiudere (come in sbarrare la porta); avanti che può significare sia prima (il giorno avanti) sia poi (come in d’ora in avanti).

Certe parole ci insegnano a vivere, condensando significati distanti che si scontrano tra di loro, che si presentano come contraddittori, che convivono insieme nonostante tentino di slegarsi.

Da grande voglio fare il medico perché questo mestiere congiunge in sé significati distanti, la vita alla morte, il guarire all’essere guariti, i dolori del parto alla gioia nel vedere il nascituro, il cambiare venendo cambiati, il passato al presente, divenendo la medicina stessa una parola enantiosemica.

Da grande voglio fare il medico perché è una vita che mi rompo, che perdo pezzi e per eccellenza la scienza delle cose che si rompono è la medicina essendo al contempo la scienza delle cose che si aggiustano, la scienza che li rimette insieme questi pezzi…

Spero che un giorno, se mi sarà concesso il grande onore di indossare un camice, nel mio piccolo potrò fare la differenza. Ora, forse è arrivato il momento di fare qualche riflessione. Quando penso al mio futuro come medico, mi viene in mente che ciò che fino a poco tempo fa vedevo come un sogno, adesso, lo vedo come un’aspettativa reale e a breve termine. Lo scorrere inesorabile del tempo, che sembra infinito ma in realtà non lo è, ha suscitato in me molte ansie. Aveva ragione Petrarca a dire “La vita fugge, et non s’arresta una hora”.  Spesso mi capita di svegliarmi nel cuore della notte. Il mio sonno è da sempre leggero e molto travagliato, credo che questo sia un punto di forza per chi vuole fare il medico. Credo che preferirei lavorare di notte, e mi piacerebbe farlo. Quando mi risveglio di notte, riesco a prendere realmente consapevolezza di questo tempo che fugge. Mi siedo per terra guardando verso l’orologio, il cui rumore incessante mi fa udire i secondi che si consumano. Già dopo qualche minuto, la mia anima è pervasa dal suono costante… le ombre sembrano muoversi,

 

e mi chiedo se sia un’illusione o se a farmi visita sia qualcuno che ho amato, che ho perso, che non ho salutato per l’ultima volta.

Alla domanda cos’hanno in comune il tempo e la medicina? Io rispondo: il guarire le ferite, il dare possibilità.

Da grande voglio fare il medico per superare barriere e limiti, per aprire porte ancora chiuse e dare speranze a chi le ha perse, per accorciare distanze apparentemente incolmabili. Io non ho mai inteso questa professione in senso vocazionale, come chiamata divina a combattere contro la morte quindi contro il tempo che finisce, io con la morte ci convivo da sempre, muoio ogni giorno, ogni volta che devo salutare i miei cugini in aeroporto non sapendo quando li rivedrò, ogni volta che parlo con mia nonna che non mi riconosce a causa dell’Alzheimer, ogni volta che ricevo una brutta notizia, ogni volta che rischio di perdere la persona che amo … spesso è la morte che ci fa paura, ci incute timore, ma è veramente così paurosa davanti ai tanti demoni che ci restano da affrontare su questa terra, al mutuo da pagare, al soffrire per amore, ai conti che restano in sospeso. No, cominciamo a morire già prima di nascere, durante l’embriogenesi alcune cellule vanno già incontro ad una morte cellulare programmata chiamata apoptosi, durante la formazione delle mani e dei piedi, le cellule tra le dita muoiono per apoptosi, un bravo medico la morte non la può temere, chi rassicurerà il malato altrimenti? Essere medico per me significa essere pronti ad intervenire nel momento del bisogno, quando i problemi si fanno dei macigni troppo grandi e non si è più in grado di fronteggiarli da soli. Se dovessi scegliere un luogo nel quale ricominciare da capo io sceglierei un ospedale, nel posto dove si impara a vivere e a morire, il posto che un giorno spererei poter chiamare casa. Io per adesso le mie ansie le butto tutte in una valigia, le ho imbarcate sui treni, portate negli aeroporti, tutto quello che ho imparato in questa vita l’ho imparato viaggiando….

Se sarò mai un medico mi imporrò di non vedere mai i miei pazienti come cartelle cliniche ma come storie da raccontare, da scoprire. La verità è che la vera professione non è quella di medico ma il mestiere di vivere per riprendere le parole di Pavese, l’esercitare il faticoso mestiere di amare, l’amore che irrompe nei cuori delle persone, che li fulmina i cuori… l’amore per la medicina per me sono i globuli rossi a forma di lunetta, cellule ribelli che si nascondono, assumendo la forma di falci lunari. Sono i soldati difettosi dell’anemia falciforme, pronti a falciare l’ossigeno, lasciando il corpo in affanno. Questo amore è una camera a gas, una lama sottile, una scena a rallentatore, una bomba all’hotel, una finta sul ring, un gelato al veleno. Quali parole migliori per descriverlo questo amore che ora dà ed ora leva, ora aggiunge ed ora toglie se non quelle di Gianna Nannini. Io so che la strada è tortuosa ed in salita, ma dopo tutto la perfezione non è il nostro obiettivo ma la nostra tendenza.

Valerio Anfuso II QL