Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams è un classico della fantascienza, che segue le avventure di Arthur Dent, uno sfortunato inglese che si ritrova a viaggiare per tutto l’universo e ne sperimenta le assurdità. In questa magnifica opera Adams usa il sarcasmo per metterci di fronte all’assurdità della nostra vita e delle convenzioni sociali che seguiamo con tanta serietà. Adams parte dal presupposto che il senso della vita potrebbe non esserci, o meglio, il senso che cerchiamo con tanto impegno potrebbe essere poco più di un’illusione. Il simbolo di questa assurdità è manifesto nella risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto: “42”, un semplice numero, emblema di una ricerca senza senso che, una volta raggiunta, ci lascia solo più confusi.
Attraverso la distruzione della Terra per mano dei Vogon, un popolo alieno che segue regole burocratiche senza considerare le persone, Adams dimostra quanto il mondo in cui viviamo sia dominato da leggi e strutture cieche. I Vogon distruggono un intero pianeta per costruire un’autostrada spaziale, senza neppure preoccuparsi di avvisare chi ci vive. È un’allegoria della burocrazia che, ignora completamente chi ne subisce le conseguenze. E noi umani che seguiamo queste logiche senza mai metterle in discussione, anche quando il nostro pianeta, come nell’opera, sta per essere distrutto da problemi come il cambiamento climatico, diventiamo altrettanto assurdamente comici.
Consideriamo ora il caso dei Golgafrinchani, una civiltà aliena che decide di esiliare nello spazio intere categorie di persone ritenute “superflue” come pubblicitari e consulenti. Questa scelta è una critica alla tendenza umana di attribuire valore a un individuo solo in base alla sua utilità sociale, cioè quanto produce. Adams ci spinge ad interrogarci sul significato e la consistenza dell’utile. Chi stabilisce cosa merita di esistere e cosa no? La nostra è una società dominata dall’idolatrizzazione del denaro e della produttività ed il libro ridicolizza questa presunzione di poter etichettare le persone in base al loro contributo economico. Così Adams ci fa capire quanto siano arbitrarie e assurde queste etichette e ci ricorda che, dietro ogni ruolo, ci sono persone con complessità e dignità che vanno oltre una semplice etichetta.
Infine c’è Marvin, un robot depresso ma tremendamente intelligente, un personaggio che rappresenta l’insoddisfazione e l’alienazione di chi si sente troppo consapevole e fuori posto in un mondo che offre poche risposte. Marvin è il simbolo dell’alienazione di chi, nella società moderna, vede il mondo con troppa lucidità, sentendosi incapace di trovare senso in ruoli e sistemi che appaiono vuoti e ripetitivi, avendo vissuto a lungo servendo l’equipaggio di un’astronave in azioni mondane e ripetitive quando gli bastano nanosecondi per fare calcoli di complessità inimmaginabili. Con questo personaggio ci viene spiegato che la consapevolezza, quando priva di scopo ed emozionalità, può portare più peso che leggerezza, come se sapere di più significasse solo vedere meglio il vuoto.
Ci sarebbero decine di scene da citare che evidenziano problemi moderni in avventure assurde in giro per lo spazio ma in fondo il messaggio di Adams è chiaro: ridere dell’assurdo e delle nostre stesse convenzioni ci può aiutare a vivere meglio, senza aspettarci risposte che non esistono. Probabilmente il segreto è smettere di prendere sul serio noi stessi e le strutture basate su consuetudini che abbiamo costruito. La guida galattica è quindi un libro che merita la lettura di tutti, leggero grazie alla sua sagacia ma che si presta perfettamente ad una più profonda analisi per ognuna delle sue scene.
Antonio Bevilacqua