Tra le leggende d’Abruzzo

Durante la nostra escursione nella valle del Tirino, siamo rimasti incantati dalle leggende del territorio, in particolare dalla “notte delle streghe”. 
 
Agli inizi del 1900 in Abruzzo, specialmente nel territorio aquilano, la stregoneria era ancora piuttosto diffusa. Ogni qualvolta un bambino si ammalava, e i rimedi farmacologici sembravano non bastare, si pensava che le streghe gli stessero “succhiando” la vita.
Per porvi rimedio e salvare i bimbi dalle grinfie delle streghe, genitori e madrine di battesimo ricorrevano al rito delle “Nove notti”. Il rito consisteva nel vegliare il bambino malato per nove notti e, durante l’ultima, si prendevano i panni del bambino, si raggiungeva un incrocio del paese e lì venivano bruciati. Talvolta il bambino guariva e questo contribuiva a rafforzare la credenza nella stregoneria. 
Attualmente, questo rito viene riproposto ogni anno in un borgo aquilano, Castel del Monte, le sere del 17 e del 18 agosto.
 
Tra le leggende vi è anche quella dello Stregone di Capestrano.
L’ipotetico stregone abitava appena fuori città, vicino ad un bosco che è stato abbattuto e dove oggi sorgono case. In questo bosco, l’uomo si recava tutti i giorni per raccogliere i semi delle piante e le erbe che studiava e poi usava per curare i bambini. Si pensa che lo Stregone sia stato scoperto dalle autorità civili e costretto a scappare. 
 
 
Ricordiamo anche la storia della Dea della Majella, divinità di uno dei più importanti monti del nostro territorio.
Le caratteristiche morfologiche della Majella, in particolare il suo profilo di donna, l’hanno resa famosa in tutto il mondo come la Bella addormentata d’Abruzzo
Da qui prende origine la leggenda della ninfa Maja, la ninfa più bella delle Pleiadi, figlia maggiore di Atlante e Pleione e madre del gigante Ermes.
In seguito a delle gravi ferite riportate da Ermes in battaglia, si narra che Maja fuggì dalla Frigia e, dopo un lungo viaggio, si addentrò nel Gran Sasso alla ricerca di un’erba miracolosa che avrebbe potuto salvare il figlio. Tuttavia, in quel periodo la montagna era innevata e non riuscì a procurarsi le erbe. 
A causa di ciò, al suo ritorno trovò il figlio senza vita e, straziata dal dolore, lo seppellì sotto il Gran Sasso
Disperata vagò per le montagne e dopo un lungo cammino si accasciò esanime sul monte che ancora oggi porta il suo nome, la Majella. 
I pastori, che trovarono il corpo, impietositi dalla sua storia straziante, la seppellirono con delle ricche vesti, vasi preziosi, fiori ed erbe aromatiche.
Da quel momento è possibile scorgere, guardando la montagna, il profilo di una donna che impietrita dal dolore si rivolge verso il mare.
La gente del luogo narra che tutt’oggi, quando il vento sfiora le pareti delle montagne, è possibile udire i lamenti disperati di una madre in lacrime per la perdita del figlio.
 
Spostandoci geograficamente di poco, troviamo la leggenda della Fata Angioina proveniente da Scanno.
Si narra infatti che nelle fredde sere d’inverno, quando la neve scende leggera sulle rive del Lago di Scanno, l’anima di Angioina torni a vegliare sulla sua creazione. Si dice che la magia della fata sia ancora viva e che il suo amore continui a proteggere il lago, a forma di cuore, e coloro che lo visitano.
I viaggiatori che si avventurano nei dintorni del lago sono catturati dalla sua bellezza mistica. 
Alcuni parlano di strane apparizioni nelle notti di luna piena, quando l’incantesimo di Angioina sembra diventare più potente; altri sostengono di aver visto scintille di luce danzare sulle onde del lago, come se la Fata Angioina stesse guidando chi è degno di ricevere la sua eredità magica.
 
Per ultimo raccontiamo la storia delle Fate di Taranta Peligna.
Si tramanda infatti che, nel territorio di Taranta Peligna, abitassero delle fate all’interno della Grotta della Figlia di Iorio (così chiamata successivamente da Gabriele D’Annunzio). 
Queste tutti i giorni volavano e andavano a visitare i paesi che sorgevano nel territorio della Majella, facendo doni ma anche dispetti. 
Spesso portavano visioni e premonizioni in sogno agli uomini che stavano loro più simpatici. Tuttavia un giorno, i continui interventi delle fate nella vita degli uomini, irritarono le divinità che regalavano il destino degli stessi. Così, per punirle, chiusero con una frana l’ingresso della grotta dove le creature abitavano. 
Secondo la leggenda, solo alcune di loro riuscirono a salvarsi. Si pensa che, ancora oggi, chi entra nella Grotta del Cavallone può sentire il lamento delle fate. Un’ altra versione narra che le fate abbiano fatto irritare San Martino (patrono di Fara) con continui dispetti e dunque la grotta venne chiusa dal Santo tramite una frana.
 
Alice Racciatti 
Iris Ramundo