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La notte stellata, un viaggio interiore nell’animo tormentato di Van Gogh

Per introdurre all’analisi della celebre “Notte stellata”, un quadro che ha attraversato i decenni conquistando generazioni con il suo fascino eterno, nulla è più evocativo delle parole di Van Gogh che, proprio per annunciare il compimento dell’opera, scrisse in una delle sue lettere al fratello Theo: “Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”.
Al giorno d’oggi, La Notte Stellata di Vincent Van Gogh è certamente uno dei capisaldi della tradizione pittorica, un dipinto in cui il cielo si anima di vortici luminosi e stelle pulsanti, aprendo le frontiere verso infinite interpretazioni.
Ma qual è la storia dietro questa tela, che ha attraversato gli anni sino a diventare un’icona? Anzitutto, la data di realizzazione dell’opera risale al maggio del 1889, periodo in cui Van Gogh era ricoverato nel manicomio di Saint-Rémy-de-Provence, a causa di una serie di crisi nevrotiche che lo hanno portato addirittura alla celebre automutilazione dell’orecchio sinistro.
Notando gli effetti positivi della pittura su Van Gogh, i medici gli concessero di proseguire il suo lavoro anche durante il ricovero. Dipingere era l’unico emolliente alle crisi nevrotiche sempre più frequenti. Vincent poteva uscire nei campi a dipingere, sempre accompagnato da un inserviente, e aveva a disposizione non solo la sua camera da letto, ma anche una stanza vuota adibita a studio.
Presumibilmente la notte del 23 maggio 1889, poco prima dell’alba, Van Gogh riportò su tela un paesaggio osservato idealmente dalla finestra della sua stanza. Sulla sinistra, un cipresso ondeggiante introduce la scena, conducendo lo sguardo verso il centro, dove si trova un piccolo villaggio illuminato, dominato dal campanile della chiesa. Sul lato destro del quadro si nota una fitta vegetazione. Sopra il villaggio si estende un ampio cielo stellato, che occupa i due terzi della tela e avvolge l’intera composizione, catturando immediatamente l’attenzione dell’osservatore.
Riferendosi al dipinto in particolare scrisse: «…come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura.».
Il dipinto, difatti, non rappresenta una riproduzione fedele di ciò che Van Gogh osservava, ma piuttosto una sua interpretazione emotiva e personale. L’artista, come osservò già nel 1891 uno scrittore francese, «non si era immedesimato nella natura, aveva immedesimato in sé stesso la natura; l’aveva obbligata a piegarsi, a modellarsi secondo le forme del proprio pensiero, a seguirlo nelle sue impennate, addirittura a subire le sue deformazioni».
I colori, in particolare il blu oltremare e le sfumature di giallo, prendono corpo e modellano le forme direttamente, senza il supporto di un disegno. Le stelle appaiono in continuo movimento, quasi folli, e sprigionano una luce così intensa da trasformarle in globi ardenti. Le pennellate sono violente, rabbiose ed energiche; evidenziano la vitalità espressiva dell’intera opera.
La notte stellata si configura come una visione interiore dell’artista, che raccontò di come, nelle notti insonni, osservava le stelle, spinto da un “terribile bisogno” di Dio. Guardando il cielo stellato attraverso le sbarre della finestra della sua stanza d’ospedale, aspirò all’infinito e cercò una strada interiore verso la libertà.


Federica Albanese