• Home
  • Blog
  • Articoli
  • Utopia di Tommaso Moro: un modello ideale tra critica sociale e riflessione contemporanea

Utopia di Tommaso Moro: un modello ideale tra critica sociale e riflessione contemporanea

L’opera di Tommaso Moro “Utopia”, pubblicata nel 1516, è un capolavoro ante litteram, capace di unire l’osservazione critica della società di quel tempo e l’ideale di società perfetta. Eutopia, dal greco “eu-topos” (buon luogo), indica un luogo ideale e perfetto, dove si vive nel benessere; è un luogo potenzialmente realizzabile. Atopia, derivata da “a-topos” (senza luogo o luogo strano), è invece qualcosa di incomprensibile e non appartenente all’ordinario, spesso è riferito a idee o concetti difficili da porre. Utopia, invece, termine coniato da Tommaso Moro, deriva da “ou-topos” (non luogo) e descrive un luogo immaginario, ideale, perfetto e mai raggiunto nella realtà.

Anche un’utopia può realizzarsi e diventare realtà ed è il caso di Tommaso Moro.  In un’epoca soggetta a crisi sociali, disuguaglianze economiche, una forte forbice socio-economica, corruzione politica e molti conflitti religiosi, Moro articola un’analisi profonda delle dinamiche di potere, offrendo così anche un modello immaginario di comunità che opera secondo i principi di uguaglianza e di razionalità. L’opera è divisa in 2 libri. Nel primo vengono descritte le varie problematiche dell’Inghilterra del tempo e viene fatta una critica al sistema economico. Nello stesso libro avviene inoltre l’incontro tra l’autore dell’opera e il suo amico Raffaele Itlodeo, abile navigatore che coglie l’occasione dell’incontro per narrargli la sua esperienza immaginaria nell’isola di Utopia (avente molti punti in comune con l’Inghilterra) e il modo di vivere degli Utopiani. L’isola di Utopia, descritta nel secondo libro dell’opera, appare come un laboratorio intellettuale per interrogare le ingiustizie del sistema dominante.

Dal punto di vista sociologico, “Utopia” spicca per la sua radicale critica all’uso del denaro (la causa dell’avidità umana) e soprattutto alla proprietà privata, identificata come il fulcro delle disuguaglianze socialiQuando in pochi si dividono tra loro la ricchezza, accumulando quanti più beni possono, la maggior parte della popolazione è destinata alla miseria”. Tommaso Moro immagina una comunità in cui la proprietà è collettivizzata, tutto è di tutti e  il lavoro è distribuito in modo equo. Questo modello è sorretto da un enorme senso di comunitarismo, in cui l’interesse collettivo prevale sul vantaggio individuale; lo scopo del singolo diventa lo scopo dell’intera comunità. A ciò si aggiunge una visione egualitaria del tempo: il lavoro è limitato a sole sei ore giornaliere in modo da garantire al popolo il tempo da dedicare all’educazione e alla crescita spirituale.

Nell’Utopia, Moro dipinge uno stato ideale ispirato alle idee di Platone dove i beni e le risorse sono condivisi e a portata di tutti, uomini e donne condividono gli stessi diritti e la saggezza guida il governo ( a differenza della Repubblica di Platone, la quale è basata su classi sociali e gerarchie).

Il paragone con il marxismo rivela incredibili punti di contatto, ma anche ponderate divergenze. Come Karl Marx ne “Il Capitale”, Moro individua all’interno della struttura economica il motivo principale delle oppressioni e delle sottomissioni sociali. Ambedue denunciano l’accumulazione della ricchezza da parte di pochi a scapito di molti e con essa il sistema che riduce gli individui a dei vani strumenti di produzione. La discrepanza sostanziale tra il pensiero di Moro e il pensiero di Marx e che il secondo associa la soluzione della disuguaglianza alla lotta di classe mentre il primo propone un’armonia sociale pacifica fondata sul buon senso del popolo. Moro, inoltre, lega la religione al concetto di parità sociale esaltando la virtù e la razionalità.

L’opera in questione è ancora, dopo 500 anni, sorprendentemente attuale. In una società come la nostra, globalizzata, caratterizzata da una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi in continuo aumento e dalla persistenza di disuguaglianze derivanti dal genere, dall’etnia, dall’età, da reddito, dalla posizione geografica, dall’orientamento sessuale, l’analisi utopiana continua a essere una lente critica potente. La discussione attuale su temi come riduzione dell’orario di lavoro, il reddito universale e la sostenibilità economica trova in “Utopia” una fonte di ispirazione.

 L’opera di Moro non è però priva di contraddizioni, infatti il suo modello utopico presuppone un’uniformità culturale che dà l’impressione di negare la complessità e il pluralismo delle società contemporanee. La rigida e indeformabile organizzazione sociale descritta nell’isola potrebbe addirittura evocare forme di autoritarismo. “Utopia” è un insieme di idealità e critica, chimera e di denuncia. Se da un lato condivide con il marxismo l’ambizione e la volontà  di lasciarsi alle spalle le strutture oppressive del proprio tempo, dall’altro si distingue per il suo carattere profondamente morale. Il lascito di quest’opera consiste nella forza di mettere in discussione l’ordine stabilito delle cose, spingendo il lettore, ieri come oggi, a immaginare possibilità al di fuori dei confini della realtà. “Utopia” non è soltanto uno spunto intellettuale, ma anche un perseverante invito a mettere in discussione l’esistente come qualcosa di immutabile, valorizzando la speranza come impulso per trasformare in meglio la società.

Natalija Kimsevic