Cornelia Brunozzi de’ Villani fu una poetessa italiana del secolo XVI. Circa la sua biografia quasi nulla è noto: si sa che visse a Pistoia e che scrisse i suoi testi più importanti nel 1535. Alcune delle sue opere, fra cui quella qui proposta, furono incluse nel primo florilegio di testi poetici scritti da donne, a cura di Lodovico Domenichi, e in altre raccolte successive (si vedano, secondo gli archivisti dell’Università di Chicago: Domenichi, Lodovico, ed., Rime diverse d’alcune nobilissime, et virtuosissime donne [Lucca: Vincenzo Busdragho, 1559], p. 38; Bulifon, Antonio, ed. Rime di cinquanta illustri poetesse di nuovo date in luce da Antonio Bulifon [Napoli: Antonio Bulifon, 1695], p. 31, principale edizione sulla quale è basato il presente articolo; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo [Venezia: Antonio Mora, 1726], pt. 1, p. 66).
Di seguito, pertanto, si riporta un sonetto dedicato a Maria Martelli de’ Panciatichi.
Se la figlia di Leda hebbe già il vanto
Di quante furon mai leggiadre et belle,
Voi sol, saggia Maria, siete di quelle
Da non le invidiar tanto né quanto:
Che ‘l bel vostro leggiadro, unico e santo
Volto s’alza per fama oltre le stelle;
Né credo tal mai ne pingesse Apelle,
O Prassitele, o s’altri sepper tanto.
Che le rose vermiglie infra la neve
Son sì ben poste agli amorosi lampi,
Che fanno invidia al padre di Fetonte.
O beltà soprahumane, altere et pronte,
Chi sarà quel, ch’a rimirarvi scampi,
Et non resti d’amor suggetto in breve?
La lirica, uno degli svariati componimenti ascrivibili al movimento petrarchista del Cinquecento, presenta una lode in versi. Il tema apologetico sottende, se si confrontano anche altri sonetti dello scambio, dei toni manifestamente erotici, intesi, così suggerisce la Guarro in Ties that Bind: Women and Friendship in Early Modern Italy (p. 144), a rafforzare giocosamente un legame di amicizia: gli studi sul lesbismo nel Rinascimento sono ancora a uno stadio poco più che larvale e assumere la certezza di un rapporto omoerotico fra la Villani e la Panciatichi, data anche la penuria di informazioni biografiche, costituirebbe speculazione, quando non fisima. Non da obliterare, tuttavia, la possibilità (proposta dalla Robin in Publishing Women: Salons, the Presses, and the Counter-Reformation in Sixteenth-Century Italy, p. 64) che la Villani interpreti il ruolo di Petrarca e la Panciatichi quello di Laura.
Venendo all’analisi del componimento, il sonetto è rimato secondo lo schema ABBA ABBA CDE EDC. Le allusioni mitologiche includono i seguenti segmenti: figlia di Leda è perifrasi per Elena di Troia, figlia di Leda e Zeus secondo il racconto di Apollodoro; padre di Fetonte è circonlocuzione per Elio, divinità solare. Altro binomio citazionistico è quello di Prassitele-Apelle, universale scultore il primo e noto pittore l’altro, entrambi greci d’età proto-ellenistica. Evidente è, per uniformità di alcuni stilemi e strutture, la memoria dell’opera di Lorenzo il Magnifico: “Una ninfa gentil, leggiadra e bella, \ piú che mai Febo amasse o altro dio”. Senza arrivare a ipotizzare che la selezione del Domenichi sia stata incentivata da questo possibile riferimento (egli era sotto la protezione di Cosimo I), converrà ricordare, semplicemente, pur senza escludere perentoriamente l’omaggio alla produzione del Magnifico, che la dittologia (approssimativamente) sinonimica leggiadra e bella sia ubiqua nel panorama letterario italiano umanistico e prerinascimentale: basti, infatti, rammentare gli attributi lauriani o il lessico petrarchesco in generale (possono suonare in mente, per esempio, dei versi di Chiare, fresche et dolci acque), ma lo stilema citato compare anche in Sacchetti (Leggiadra donna giovinetta e bella, questa leggiadra e bella giovinetta, bella leggiadra saggia e graziosa, tutti versi tratti da La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie) e Boccaccio (Questa leggiadra e bella canzonetta).
Il riferimento alle rose vermiglie infra la neve, inoltre, costituisce un’analogia con le guance della Panciatichi e il suo candido viso, secondo la topica del tempo sul canone estetico femminile.
Spicca, in particolare, l’utilizzo singolare dell’aggettivo saggia: la maggior parte dei più noti elogi di donne spesso non concernono l’altezza d’ingegno; non è un caso che, mentre nei titoli delle antologie maschili si faccia più spesso riferimento a questo tratto, in quelle femminili si inferisca più spesso nell’ambito della virtù o della santità. Il tema della virtù compare, comunque, in uno dei sonetti dello scambio di Giulia Braccali con la Villani, mentre è da notare che la Panciatichi sembra, in un altro testo, lodare le competenze poetiche della Villani.
Il sonetto in questione, quindi, si pone in continuità con la tradizione e al contempo innova la consueta ritrattistica poetica femminile.
Michelangelo Grimaldi