San Pietro ad Oratorium: le tracce lasciate dal tempo

L’abbazia di San Pietro ad Oratorium si trova nella valle del Tirino, valle immersa nella vegetazione e poco distante dal fiume e dal comune di Capestrano, in provincia de L’Aquila. Fu edificata nella contrada detta di “Araturo”, con nome derivante probabilmente da un castello distrutto da cui si originò successivamente il toponimo di Oratorium.

Dall’incisione sull’architrave del portale, possiamo dedurre che fu il re longobardo Desiderio a promuovere la costruzione della chiesa nel 722, in dipendenza dal monastero benedettino di San Vincenzo Volturno.

La località fu abitata dai monaci benedettini sin dall’ottavo secolo. Infatti, il complesso era originariamente composto dalla chiesa e dal monastero che, quando fu distrutto, non venne riscostruito, a differenza della chiesa che venne riedificata nel 1100, come scritto sull’architrave.

Tra il1500 e il 1600 la chiesa fu abbandonata, ed essendo stata esposta alle intemperie ed inutilizzata per più di ottant’anni, vide crollare parti di essa. Questo possiamo notarlo nella facciata frontale, dove non troviamo il rosone, nonostante la chiesa fosse stata rifatta in stile romanico. Un altro esempio è la muratura delle tre absidi della facciata posteriore composte da pietre con dimensioni diverse tra loro. Nelle absidi laterali, ricostruite in epoche successive, troviamo delle pietre più nuove e piccole rispetto a quelle dell’abside centrale, sulla quale è scolpito anche un piccolo archetto. Inoltre, nella parte superiore delle facciate, compaiono diverse pietre scolpite in bassorilievo, che rappresentano elementi naturali, animali mitologici, forme geometriche. Anche queste pietre sono solo materiali di recupero, quindi in realtà, non sono disposte in base a un preciso significato, ma vanno solo a coprire buchi nella muratura.

Altri segni di ristrutturazione sono presenti all’interno della chiesa, nel ciborio e nelle colonne. L’edificio è scandito in tre navate, terminanti in tre absidi semicircolari, da pilastri con capitelli decorati diversamente tra loro. Anche i capitelli delle colonne del ciborio, posto alla fine della navata centrale, sono diversi; quelli dietro, con le foglie di acanto, sono più vecchi di quelli anteriori. Inoltre, il tamburo ha delle finestrelle a sesto acuto, dovute a influssi gotici provenienti dal nord Italia.

Dietro il ciborio osserviamo un affresco monocromatico rosso, con protagonista Gesù, in un’iconografia antica poiché  il Cristo è più grande delle altre figure e ha le tipiche tre dita alzate in segno di benedizione. Accanto ad esso sono rappresentati i simboli dei quattro evangelisti e due angeli serafini; nelle lunette laterali sono raffigurati i ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse.

Un altro affresco, ormai visibile solo in piccola parte, si trova nella lunetta del portale della facciata anteriore, ed ha come soggetto San Pietro. Sempre sulla facciata anteriore, a sinistra del portale, troviamo il quadrato del Sator, cioè una pietra con inciso un palindromo, ovvero una forma letteraria che letta in ogni ordine e direzione ha le stesse parole disposte allo stesso modo. Le parole usate sono cinque: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Poiché fu ritrovato su molte chiese d’Europa, si è cercato di dargli una spiegazione cristiana: facendo un anagramma con le 25 lettere, ricomponendolo viene fuori una croce con scritto PATER NOSTER su entrambi i segmenti, le due A e le due O che avanzano (che nell’alfabeto greco sono l’alfa e l’omega, ovvero la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto) simboleggiano l’inizio e la fine di tutto.

Giulia Salerni

Alice D’Alessio