Elsa Morante (1912 – 1985), nota autrice italiana, nella silloge poetica Il mondo salvato dai ragazzini (1968), si abbandona a un inno, all’energia polimorfa della giovinezza. La raccolta, nella sezione La commedia chimica, volge la propria attenzione a una serie di sostanze psichedeliche, cui sono dedicati i diversi componimenti. Il testo che sarà oggetto di commento, primo della sottosezione, come si evince confrontando più esplicite versioni precedenti dell’opera, è dedicato alla psilocibina, una sostanza psichedelica lievemente euforigena estratta soprattutto da alcuni funghi del genere Psylocibe e adoperata, nel corso dei secoli, da alcuni popoli dell’America latina per effettuare riti sciamanici. Si riporta di seguito il testo:
Avevo il passaporto, col visto ufficiale dell’Accademia mondiale di Chimica Superiore
firmato da Dottori e Sciamani laureati.
Ma il primo guardiano armato che ho trovato davanti alla foce sbarrata del Bardo
è stato un re azteco morto assassinato
il quale mi ha gridato cosí:
«Qua non si ammettono passeggeri, se non clandestini o espatriati illegali. Indietro!»
Per cui non ho oltrepassato i margini della terra di nessuno. Dell’al di là
non ho potuto che intravedere a malapena in lontananza
una cupola trasparente, sospesa in un quieto crepuscolo amniotico, e adorna
di allegri fumetti, pareva, di un autore infante.
Mentre al di sotto di me, nel basso fondo, scorgevo ancora il corpo che avevo appena lasciato
e già si faceva polvere, con lo scheletro ridotto al semplice sterno
emanante un fioco splendore, come una cinturina d’oro…
La novità dell’assenza di peso mi ubriacava come la prima bevuta dei quindici anni
quando gli organi i tessuti le vene tutti i passaggi e i canali della circolazione
sono intatti e puliti nella loro fresca salute
cosí che l’alcool benedetto come polline equinoziale piove pronto nel centro del fiore.
Paradisi! paradisi! Ma tuttavia, continuo nell’interno di me
sul punto dell’innervo solare, perdurava con le sue fitte come un ascesso la notizia sicura
che questa Assunzione era un surrogato onirico provvisorio, come una marchetta rimediata a buon mercato
e che dabbasso nella stazione terrestre il mio prossimo rimpatrio già era previsto ufficialmente.
Nell’opera si descrive un’esperienza estatica presentata secondo varie analogie: il viaggio verso scenari orientali, in un clima di trasgressione (infatti, il re azteco lascia passare solo “clandestini o espatriati illegali”), è soltanto vagheggiato: solo un luogo lontano (cupola, pars pro toto) e familiare (crepuscolo amniotico) si scorge in lontananza, insieme con il corpo polverizzato, “ridotto al semplice sterno”, sotto gli occhi della protagonista, come se la sua mente fosse proiettata nella visione psichedelica, non dimentica del corpo plasmato dall’alcol ingerito; dell’esperienza, tuttavia, resta quella sensazione di “assenza di peso” che richiama ancora la prima volta, un ricordo giovanile di precoce ebbrezza. Le sensazioni euforiche sono, infine, presentate come un’“Assunzione”, un’ascesa paradisiaca momentanea, dalla quale presto l’autrice sarebbe rinvenuta.
I riferimenti letterari del testo sono molteplici. La descrizione di scenari orientaleggianti o, più in generale, esotici, ha illustri precedenti nella letteratura inglese: basti pensare al testo coleridgeano Kubla Khan o alle visioni di Thomas De Quincey in Confessions of an English Opium-Eater. Il primo, scritto sotto l’effetto del laudano, racconta il progetto di Kublai Khan volto alla costruzione di un palazzo presso la città di Xanadu, per poi spostarsi sulla descrizione dell’ambiente circostante; il secondo racconta le esperienze dell’autore vissute sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e include la descrizione di fughe orientali ansiogene. In ambito francese, inoltre, è interessante il rimando a Baudelaire e, in generale, all’assenzio maledettista; in particolare, l’opera Les Paradis artificiels di Baudelaire mostra rilevati affinità nella trattazione di distinti agenti psicotropi, incluso il riferimento preponderante al vino. Bisogna ricordare, inoltre, che il tema dell’ebbrezza e dell’alcol è familiare anche alla lirica e al dramma greci, ricollegando il componimento al filone drammaturgico che costituisce, appunto, parte del fil rouge della Commedia chimica.
Il Bardo, citato al v. 3, può essere duplicemente interpretato: da un lato, si tratta di n riferimento alle credenze buddiste; infatti, sebbene con numerose differenze a seconda della sotto-dottrina specifica e distintamente anche rispetto all’originale accezione presentata in testi vedici e Upanishad, esso starebbe a indicare uno stadio intermedio tra la vita e la morte o tra la morte e la rinascita; dall’altro, il bardo è anche un poeta-profeta e, in seguito alla riscoperta tardiva dell’opera di William Blake, bisogna ricordare che il componimento introduttivo della conosciuta raccolta Songs of Experience, simbolo dell’invasione della consapevolezza e dell’esperienza nell’innocenza infantile, incomincia con il verso “hear the voice of the bard”, realizzando, nei versi, la sostituzione del pastore con il bardo e, su un primo piano ulteriore di significato, dell’infanzia con l’adolescenza.
Non mancano, infine, i riferimenti danteschi e religiosi: il titolo stesso, La commedia chimica, i frequenti riferimenti al Paradiso, il Bardo nella seconda delle accezioni succitate, i riferimenti ai riti sciamanici, la creatura a guardia degli spazi liminali (nettamente dantesca), termini come “Assunzione” o “benedetto” etc.
Nel corso del testo, è marcatamente presente un contrasto: mentre in adolescenza “gli organi i tessuti le vene tutti i passaggi e i canali della circolazione sono intatti e puliti nella loro fresca salute”, al tempo di redazione del testo non è più così e, mentre il corpo di Morante si disfa progressivamente, la mente è ancora invasata dal “polline benedetto” di cui l’alcol la imbeve.
L’esperienza, in conclusione, è definita quale “surrogato onirico provvisorio”, mentre la notizia della sua prossima conclusione è un “ascesso” (‘grumo di pus che si forma su un tessuto’, notoriamente molto fastidioso); se ne cava che l’esperienza psichedelica sia la versione di ripiego del sogno (imprescindibile esperienza poetica) ed effimera, istantanea fuga dal dolore della vita inalterata e anodina, della vita supraliminale non estatica.
Michelangelo Grimaldi