Correva l’anno 1960, i servizi sociali avevano preso in affido un bambino trovato in una roulotte nella città di Detroit la cui madre era troppo ubriaca per ricordare il giorno in cui lo avesse concepito. Il nome di quel bambino era James O’Barr.
Il piccolo James trascorse i primi sette anni della sua vita tra orfanotrofi e centri per l’adozione, dove apprese che l’unico modo per sopravvivere era isolarsi dagli altri e il suo unico compagno il disegno. Quando finalmente venne adottato, i suoi nuovi genitori passavano la maggior parte delle giornate a lavoro, lasciando spesso James al cinema, dove il giovane guardava gli stessi film più e più volte, assorbendo pian piano il linguaggio cinematografico. Oltre ai film, la sua altra unica fonte di conforto erano i fumetti, per i quali risparmiava saltando il pranzo per giorni e giorni; non era affascinato dai supereroi, ma da quelle storie dell’orrore in bianco e nero.
James crebbe come un ragazzo arrabbiato e amareggiato per il destino che la vita gli aveva riservato; tutto cambiò quando durante le scuole superiori, un caldo raggio di luce si fece strada nella sua gelida oscurità. Era il suo opposto, pura positività. Il suo nome era Bethany, una sua compagna di classe. Cominciarono a frequentarsi e così lui cominciò a guarire. Sentiva che Bethany era la sua ricompensa per aver sopportato tutta quella sofferenza ed essere sopravvissuto fino a quel punto. Si fidanzarono e andarono a convivere. Nel 1978 però, la ragazza viene investita mentre stava andando a prendere James
uccisa sul colpo da un pirata della strada ubriaco. Il ragazzo fu divorato dai sensi di colpa. Per placare il suo dolore, si arruolò nei Marines e durante il suo periodo a Berlino, dove aveva il compito di illustrare dei manuali da combattimento, conobbe la musica dei Joy Division, che lo ispirò a creare qualcosa che lo aiutasse a sfogare i suoi sentimenti.Nacque così Il Corvo. Quando O’Barr venne dimesso dall’esercito, tornò a Detroit con il solo intento di uccidere l’assassino di Bethany, per poi scoprire che l’uomo era già deceduto. Decide così di vendicarsi tramite le pagine del suo fumetto che scriveva per qualche ora ogni notte dopo che aveva passato la serata tra alcool, droghe e risse. Il suo fumetto però era troppo oscuro, troppo violento e ogni editore a cui lo presentava lo rifiutava. A James non interessava: scriveva Il Corvo per se stesso, non per il pubblico. Quando poi però riuscì a far pubblicare la sua storia nella fumetteria del posto, Il Corvo andò immediatamente sold-out, diventando presto uno dei fumetti indipendenti più venduti di sempre.
Con questa premessa, chiunque si aspetterebbe che Il Corvo sia solo una storia cupa e carica di violenza. Ma, sebbene queste caratteristiche siano presenti, il suo successo è dovuto al modo atipico con cui O’Barr le ripropone. Al contrario di ogni altro racconto di vendetta, la tragedia dei due protagonisti – Eric e Shelley – non è posta all’inizio, ma viene svelata pian piano, in andamento parallelo a quello della resa dei conti con gli aguzzini della coppia. Ogni passo avanti nella storia diventa così anche un passo indietro nei terribili ricordi dell’uomo: tanta è la sofferenza di Eric, quanto è quella di O’Barr, entrambi si avvicinano
alla catarsi rivivendo il loro tragico passato. Questa dualità però non è solo parte della struttura narrativa ma anche dei disegni; tanta è l’oscurità quanta è la luce, le grandi quantità di inchiostro nero vengono bilanciate dagli spazi bianchi, l’ombra viene usata per rendere la luce più brillante e la luce viene usata per rendere l’ombra più oscura. È impossibile non sentire il dolore e la rabbia dell’autore che cerca di imprimere su carta i suoi sentimenti e i suoi ricordi prima che svaniscano dalla sua mente.Tutti questi fattori contribuirono all’enorme successo dell’opera, tanto che intorno al 1991 cominciò ad essere prodotto un film basato proprio su di essa; a James O’Barr fu garantito un coinvolgimento creativo che comportò la presenza nella colonna sonora di tutta quella musica che lo aveva ispirato, come i The Cure o i Nine Inch Nails. Eric trovò un volto in Brandon Lee, figlio del celebre Bruce Lee e grande fanatico del fumetto di O’Barr, tanto da poterlo citare con precisione. Così nacque immediatamente un’amicizia tra l’autore e l’attore, che insieme lottarono per creare un adattamento che rendesse più giustizia possibile alla storia originale, e così fu; la tragedia però non aveva ancora avuto fine. Arrivati al momento in cui Lee doveva girare la fatidica scena in cui Eric e Shelley perdevano la vita, fu commesso un grave errore: la pistola era stata caricata con dei proiettili veri. Il film fu concluso con l’aiuto della controparte di Lee, ma la sua morte continuava a gravare su di esso; il ruolo che lo avrebbe dovuto far sbancare, fu il suo ultimo. Purtroppo o fortunatamente, la sventura aiutò il film a diventare un campione d’incassi; il successo tuttavia non toccò in alcun modo O’Barr: quello stesso fumetto che lo aveva aiutato a strisciare fuori dalla sua disperazione, aveva in qualche modo ucciso il suo migliore amico, portandolo a cadere di nuovo in quella spirale di autodistruzione da cui tutto era cominciato.
Dopo essersi torturato guardando il film ripetutamente, James si recò alla tomba del suo amico Brandon
e proprio lì, la sua vita si concluse e ricominciò: finalmente si perdonò per la morte del suo amico e della sua amata e cominciò a valorizzare la sua vita. Nel 2000 sconfisse la dipendenza da alcol, si sposò ed ebbe figli.Ad oggi Il Corvo continua ad essere rilevante grazie ad O’Barr che ha sanguinato tutto il suo dolore sulle pagine del fumetto. Arriva da chi ne ha necessità, così come i Joi Division arrivarono da lui, per dire “Quello che senti è normale, è normale ferire, è normale essere arrabbiati, non sei solo”.
Il vero messaggio però non arriva dalla carta, bensì dalla vita di O’Barr:
Supererai tutto questo. Andrai avanti. E tu starai bene.
Mario Forgione