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Una riflessione sul caso Giulio Regeni: il diritto alla verità tra ombre e silenzi

Il caso di Giulio Regeni è uno degli episodi che ha maggiormente scosso l’opinione pubblica negli ultimi anni: ha portato alla luce le gravi violazioni dei diritti umani in Egitto e suscitato una serie di interrogativi sullo stato di sicurezza per chi, come Giulio, si dedica alla ricerca in paesi politicamente instabili. 

Cos’è successo a Giulio Regeni? 

Giulio Regeni, nato a Trieste nel 1988, era un giovane ricercatore italiano impegnato nello studio delle condizioni dei lavoratori in Egitto. Dopo aver studiato all’Università di Cambridge, si trasferisce al Cairo nel settembre 2015 per completare una tesi di dottorato sui sindacati indipendenti egiziani. Proprio per questo motivo, durante il suo soggiorno entra in contatto con diversi attivisti e leader sindacali egiziani. 

Il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, Giulio scompare misteriosamente. Dopo alcune telefonate senza risposta, l’ambasciata italiana viene informata della sua sparizione nella notte.

Il suo corpo venne ritrovato il 3 febbraio, abbandonato lungo un’autostrada e con segni evidenti di torture al punto che la madre lo riconobbe “dalla punta del naso” . Disse di aver visto nel volto martoriato del figlio “tutto il male del mondo”. La causa della morte fu determinata da un colpo al collo che ha causato un’emorragia cerebrale, segno di torture prolungate. 

Inizialmente, le autorità egiziane fornirono diverse versioni sulla sua morte, cercando di spostare l’attenzione su motivi personali infondati, come una presunta relazione omosessuale o il traffico di droga. Nel corso delle indagini, la Procura del Cairo ha continuato a mostrare una scarsa collaborazione con le autorità italiane. Gli investigatori italiani, ad esempio, hanno potuto interrogare alcuni testimoni solo per pochi minuti, dopo che questi erano stati già sottoposti a lunghi interrogatori da parte della polizia egiziana. Inoltre, è emerso che le registrazioni delle telecamere di sorveglianza presenti nella stazione della metropolitana dove Giulio Regeni è scomparso erano state cancellate, rendendole irrecuperabili. 

Solo nel 2016, dopo le forti pressioni internazionali, l’indagine italiana porta alla luce che quattro alti ufficiali della National Security egiziana sono coinvolti nel sequestro e nell’omicidio di Giulio, per i quali viene disposto un processo nel 2021.

Nel settembre 2023, la Corte costituzionale italiana stabilisce che il processo può proseguire anche in assenza degli imputati, nonostante la mancata collaborazione da parte delle autorità egiziane.

Il caso di Giulio Regeni non è solo una tragedia individuale, ma un simbolo della lotta per i diritti umani in un paese dove la repressione politica è ancora forte. 

Personalmente, sono chiesta chi era Giulio? Probabilmente un ragazzo come tanti, ma anche molto di più. Era uno studioso appassionato, un viaggiatore curioso, un ricercatore con il desiderio profondo di conoscere e capire il mondo. Era un ragazzo che non si accontentava delle risposte semplici, che sapeva ancora meravigliarsi, sempre pronto a scoprire qualcosa di nuovo. Questo lo rendeva unico, diverso, capace di andare oltre. Giulio non accettava certezze assolute, né si fermava davanti ai dogmi. Voleva comprendere ciò che era nascosto, scomodo, difficile. 

La sua passione per la conoscenza era una parte essenziale di lui, un tratto che l’ha portato lontano, ma che alla fine ha pagato con la vita. Eppure, il suo sacrificio non può essere dimenticato. Giulio stava semplicemente esercitando un diritto fondamentale: il diritto di fare domande, di indagare, di cercare la verità. Oggi questo diritto non riguarda solo lui, ma tutti noi. Giulio non può più continuare il suo lavoro, ma possiamo farlo noi, portando avanti la sua battaglia per la giustizia e per chi non ha voce. 

La libertà di ricerca è un diritto prezioso, profondamente legato alla libertà di espressione. Come potrebbe la conoscenza esistere, crescere e generare cambiamento se non fosse libera di essere condivisa e comunicata? Curiosità e spirito critico sono alla base di ogni ricerca vera, ma anche della libertà stessa. 

Giulio Regeni stava studiando un tema oltremodo delicato, quello dei sindacati indipendenti in un contesto in cui il solo porre domande può essere visto come un atto sovversivo. Giulio è morto perché non si è accontentato del silenzio, perché ha avuto il coraggio di chiedere. 

La sua storia ha valenza universale: è la storia di chiunque lotti per un ideale, per la libertà, per la giustizia. Non possiamo permetterci di dimenticarlo. Ricordare Giulio significa restare umani, rifiutare l’indifferenza, uscire da quella zona d’ombra in cui vivono le persone che non osano sognare né difendere ciò in cui credono. Giulio ci ha mostrato che vale la pena lottare, e che nessuna domanda, per quanto scomoda, dovrebbe mai restare senza risposta. 

Federica Albanese