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Vestigia flammae 6: fame, morte, desiderio e vanità in Amelia Rosselli

Amelia Rosselli (1930 – 1996), nota poetessa italiana, fu segnata dall’assassinio del padre rimasto impunito (i mandanti del delitto Rosselli furono assolti nel 1949), dalla sua condizione di straniera in patria e da una serie di traumi che costernarono la sua vita. Spesso espressione di una sofferenza indomabile, le sue liriche riflettono manifestamente la sua condizione. La lirica che sarà oggetto di commento, Un piede per terra, poi tu sollevi il piede, poi lo riponi, riportata di seguito, è parte della raccolta Serie Ospedaliera (1963 – 1965). 

Un piede per terra, poi tu sollevi il piede, poi lo riponi

e giù tarda la gamba poi la coscia il tutto in un

fragore rompiscatole silenzioso la riponi e nel

coinvolgersi le due gambe toccano terra. Poi nella

terra v’è carne in scatola che s’apre perché bisbigli

velocemente ti voglio. Poi quando ho deposto il piede succede che

tu lo rivedi flottare tranquillo e le lamiere dei cristalli

pungono come funghi scarsi o afflosciati, nella nera

cera. Poi nella cera si scarica l’utero e l’utero

è poi quel cavallo, bisbetico fa sempre a modo

suo e poi cavalca molto gaio e poi un’altra scossa

fino a sentirsi fatto. 

Poi quando è fatto se ne va e vi sono ombre per terra, tutt’un

gironzolare di forme vuote cattivanti come i fiori ma

poi si sfilacciano e gli intestini a riposo chiedono

no, non chiudere. 

Poi nella gamba si chiude l’uscio e l’uscio sbarazza

i resti e il gorgo interno chiama chiama. Un altro

giorno ancora rifaremo, la fame, l’orologio puntato

sulle emicranie e partiremo infami, una

terra promessa e poi scordata la tua fame. 

Alcuni dei contrassegni propri della scrittura del trauma riscontrabili nel componimento includono la moltiplicazione del soggetto lirico, realizzata dalla proiezione dell’Io in un identico Tu e in un ancora identico Noi, la codificazione di molteplici significati in particolari significanti marcati (ci si riferisce a parole come uscio, carne, cera etc.), l’impersonalità e l’incomunicabilità. 

L’argomento del testo pare riferirsi ad un risveglio notturno. I primi quattro versi descrivono la discesa dal letto, seguita possibilmente, alle righe immediatamente successive, dalla nutrizione. È ben evidente nei segmenti testuali citati un motivo che avvicina Rosselli a Gottfried Benn, consistente nella riduzione del corpo a mera fisiologia. Qualche convergenza più puntuale si rinviene confrontando, ad esempio, il testo con Blinddarm (‘Appendicectomia’) che, per quanto in un contesto distinto, fa riferimento a intestini graffiati. La carne in scatola, probabilmente andata a male, si apre al proferimento della formula ti voglio e all’utero è concesso di scaricarsi nella nera cera.

È possibile riconoscere, inoltre, soggiacente alla profonda ambiguità dei versi, declinanti il tema di Eros e Thanatos, la visione tetra di un cadavere in una bara, nella terra, da accostarsi a una visione a un tempo geofagica e antropofagica. La prima, autorizzata anche da un possibile riferimento allo stesso testo di Benn di cui sopra (der Bauch voll Dreck, ‘lo stomaco pieno di terra’, v. 28), lega il testo alla figura del lupo e, dunque, alla gola; la seconda riporta al Manifesto Antropofago di Oswald de Andrade (si noti anche la dimensione dei piedi nella vignetta della pubblicazione originale del manifesto e l’insistenza su questa parte del corpo nel componimento oggetto di analisi), cardine del modernismo brasiliano, soprattutto se si considera la possibilità di riconoscere in Rosselli quella che Madelyn Detloff chiama Persistence of Modernism. Tale carattere si esprime in Rosselli sia con l’adozione dell’impersonalità sia con l’apophasis (‘l’asserire per mezzo della negazione quanto sarebbe altrimenti incomunicabile’): la prima è accompagnata, come in Virginia Woolf, da un rinnovato interesse autobiografico, ma sempre in modo da separare the man who suffers e the mind which creates; la seconda è evidente al v. 16 (no, non chiudere).

Il gorgo interno che chiama chiama è prodotto ambo dal desiderio dell’utero, quel cavallo che cavalca molto gaio e degli intestini che domandano di non chiudere (si noti l’indefinitezza: non sappiamo di quale orifizio si tratti). È possibile ravvisare qui una sovrapposizione fra il desiderio erotico e quello alimentare: la bocca, ad esempio, è tradizionalmente legata sia al peccato di gola (è luogo d’introduzione del cibo) che a quello di lussuria (basti pensare al bacio o al coito orale); in aggiunta, è bene ricordare quella tradizione medievale che associava strettamente i due peccati, tradizione legata soprattutto all’iniqua sazietà di Sodoma.

Il motivo del soddisfacimento dei bisogni corporali è catalizzato dall’utilizzo del sostantivo carne, per il fatto di essere caricato, tra gli altri, di valore erotico rimandando, in quanto snodo fondamentale della letteratura italiana, alla novella IV 1 del Decameron di Boccacio, in cui il vocabolo carne, non poco importante nel discorso di Grismunda, presenta occorrenze molteplici.

È bene sottolineare, rispettivamente ai vv. 3 e 7 – 8, l’adoperamento della figura dell’ossimoro (il fragore è definito silenzioso) e della similitudine paradossale (le lamiere dei cristalli pungono il piede come funghi scarsi o afflosciati, il che vale a dire che de facto non lo pungono).

È interessante notare come viene trattato da Rosselli, in quest’opera, il tema della vanitas. Il desiderio produce fantasie, illusioni. A tal proposito, Freud scrive, in Introduzione alla psicoanalisi, “il contenuto di queste fantasie è dominato da una motivazione molto trasparente. Sono scene e avvenimenti in cui trovano soddisfacimento i bisogni egoistici, di ambizione e di potenza, oppure i desideri erotici della persona” e tali fantasie costituiscono il “materiale grezzo della produzione poetica”. Una volta soddisfatto, il desiderio se ne va (Poi quando è fatto se ne va, v. 13), restano, però, subito dopo, i suoi resti, rappresentati nelle deiezioni dell’utero/intestino, le forme vuote cattivanti come i fiori. Si tratta di illusioni insoddisfacenti che si sfilacciano, quasi un’allusione all’anatomia sfrangiata delle tube.

Infine, anche le fantasie vengono neutralizzate (l’uscio sbarazza i resti, vv. 17 – 18), per quanto ciò non sia sufficiente a calmare il desiderio (il gorgo interno chiama chiama, v. 18). Il soggetto lirico, analogamente all’essere umano in generale, si aspetta di giungere a una terra promessa in cui ogni desiderio corporale sia finalmente estinto; tuttavia, la constatazione dell’inesistenza di un tale luogo, lega l’umano in un loop desiderio-fantasia-annullamento della fantasia, circa il cui termine solo la morte, che sia o no autoelargita, è in potere di deliberare.

 

Michelangelo Grimaldi