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Bagai, l’esordio di Samuele Cornalba sul “quasi” vivere dell’adolescenza

di Agata Reggiardo, 2D

Samuele Cornalba, autore di “Bagai” è intervenuto nell’Aula Magna del Liceo D’Oria lo scorso 4 marzo per presentare il suo libro d’esordio. Gli abbiamo rivolto alcune domande sul percorso che lo ha portato a diventare scrittore: 

Quale è stato il tuo percorso di formazione per arrivare a scrivere il tuo primo libro e pubblicarlo con una casa editrice così rilevante come Einaudi? 

Durante le superiori scrivevo racconti e il mio obiettivo, dopo il termine della scuola, era diventare scrittore. Pensavo, però, di attraversare prima un percorso universitario. In quinta superiore ho mandato la mia applicazione per una borsa di studio in una scuola di scrittura a Milano, senza pensare al fatto che avrebbero potuto accettarmi, non dicendolo a nessuno. E invece è successo. È stata un’esperienza molto formativa per la mia carriera: mi ha permesso di avere un parere e di confrontarmi direttamente con persone nel mio stesso ambito riguardo a ciò che scrivevo, attività molto utile poiché proiettava i miei elaborati al fatto che qualcuno li avrebbe letti, altrimenti lo scrivere sarebbe rimasta un’attività solitaria. Ho iniziato a buttare giù “Bagai” durante questo anno, mentre affrontavo la scuola di scrittura. Ho avuto poi l’occasione di mandare la prima bozza del romanzo a Einaudi, che aveva annunciato l’uscita di una collana dedicata agli autori emergenti. 

 

Quando e come hai iniziato a scrivere? Ci sono delle letture che hanno influenzato la tua carriera e che consiglieresti a chi, come te, vuole scrivere nella vita? 

Il primo libro che ha scosso qualcosa in me è stato “Fahrenheit 451” dì Ray Bradbury. Mi è stato assegnato in prima superiore dalla mia insegnante di italiano che, in generale, è stata fondamentale per la mia formazione: è con lei che ho iniziato ad appassionarmi alla scrittura e alla lettura. Ci sono altri libri, come “4321” di Paul Auster, che sono stati molto importanti nella mia vita, che mi hanno portato ad aprire gli occhi su molte cose. Libri invece come “Lo straniero” di Albert Camus, “Chiedi alla polvere” di John Fante e “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, alcuni dei quali menzionati nel mio romanzo, sono modelli a cui mi sono ispirato, soprattutto per ciò che riguarda la scrittura.

 

Come hai raggiunto questa semplicità ed efficacia nel tuo stile di scrittura? 

Sono partito già volendo comporre un romanzo breve, che non ricadesse in descrizioni inutili e che non si dilungasse, ma andasse direttamente al punto. La prima versione conclusa del libro, che ho scritto nel 2020, è molto diversa da quella definitiva. Ci sono voluti anni di lavoro per arrivare a quello che è il romanzo tutt’ora. Una tecnica che mi hanno insegnato mentre frequentavo la scuola di scrittura è quella di immaginare che ogni parola costi un euro.

 

Da cosa sei partito per scrivere questo libro? Riguarda anche esperienze personali, quindi è in parte autobiografico, oppure è tutto frutto della tua fantasia?

Quando dovevo scegliere su che cosa strutturare il romanzo, ho deciso di voler parlare del sentimento dell’indifferenza, se sentimento lo possiamo chiamare, poiché è qualcosa che sento vicino, che io stesso ho provato molto nel corso della mia adolescenza. 

Elia sembra non vivere, attraversa la sua vita con dolori mai affrontati, schivando emozioni, nella sua bolla di solitudine. Questo libro è volto a descrivere la paura e il disagio che si prova nel sentirsi prigioniero della vita in un piccolo centro. Rappresenta una fotografia della nostra generazione, del nostro spaesamento di fronte a un futuro che non ci rassicura, della nostra fragilità e della nostra incapacità a gestire le emozioni, la paura e la rabbia. Il rapporto di Elia con gli adulti può essere rappresentativo della sua distanza con il mondo: è orfano di madre e considera suo padre come poco più di un estraneo. Anche il suo legame con gli amici è immerso nell’indifferenza, l’unico spiraglio di luce è Camilla, che lo porta oltre il “quasi” e prova a reindirizzarlo nella sua strada.

 

Perché hai scelto questo titolo, “Bagai”? 

Nella scelta del titolo per il mio romanzo, mentre ne parlavo con la mia editrice, abbiamo pensato a “Bagai”, qualcosa di simbolico per racchiudere ciò di cui parla il mio libro e che può attirare, poiché è appunto una parola particolare in dialetto. Può rappresentare sia la situazione di Elia, un ragazzo non più bambino, non ancora adulto, intrappolato in una quasi-età, ma anche quella di moltissimi ragazzi che, come lui, si sentono rinchiusi in un mondo troppo piccolo per loro, ma non sono ancora pronti per avere a che fare con il futuro, un universo troppo adulto.